Alfabeto di sbadanza: F come festa

La festa, un momento della vita, uno stato dell'anima. Nicola Duberti ripercorre la storia di questa parola e ci racconta la giornata festiva di chi vive su una carrozzina

Ah, la festa. Che bella cosa la festa! La festa, le feste. I giorni in cui non si lavora. I giorni in cui si celebra qualcosa: la morte gloriosa di un santo cattolico, la nascita di un’istituzione politica, la ricorrenza di un’antichissima cerimonia pagana. Tutto va bene per fare festa. Poi, certo, ci sono le feste familiari e private: ma anche qui è una cosa abbastanza simile, no? Si festeggia la nascita di un membro della famiglia, oppure il matrimonio di qualche altro famigliare, oppure la laurea di un giovane virgulto – raramente la morte di qualcuno, altre tradizioni culturali fanno anche feste funebri ma noi preferiamo di no.

Non cominciate a dire che una volta, ai vostri tempi, non si facevano tutte queste feste. È una balla. Festa è una parola antichissima. La parola festa italiana, piemontese, catalana e portoghese, come il francese fête, l’occitano fèsto e lo spagnolo fiesta  derivano tutte dal latino (dies) fĕsta , in cui il termine fĕsta è la forma femminile dell’aggettivo fĕstus, a, um: un termine chiave del lessico rituale-religioso-giuridico del mondo romano. Secondo i dizionari etimologici del latino, fĕstus, a, um è formato dalla radice *fĕs- che in latino origina anche il termina fesia, ae. E che roba sarebbe questa fĕsia? Chi l’ha mai sentita? Sicuri di non averla mai sentita? La fĕsia era il giorno consacrato alla divinità, il giorno sacro di riposo religioso. E allora? E allora vi sfugge un particolare. A un certo punto in latino quasi tutte le che si trovavano fra due vocali sono diventate . I glottologi, che sono gente strana, chiamano questo fenomeno ‘rotacismo’. Alla fine del rotacismo, le fĕsiae sono diventate le fēriae. Ah, visto che le avete già sentite? Le ferie. Anche quelle inventate dagli antichi Romani. Strettamente collegate alle feste. Tutte e due derivate dalla stessa radice latina *fĕs- a sua volta derivata dalla radice indoeuropea *dheh  da cui in greco si sviluppa il termine theós, cioè ‘dio’. Quindi è chiaro che la festa e le ferie nascono come giorno per la celebrazione della divinità, giorno dedicato alla dimensione divina e alle sue innumerevoli manifestazioni.

Per dare un’idea di cosa possa essere una festa religiosa come si deve bisogna guardare la foto di una festa induista, come l’immagine 1. Si tratta dell’Holi, forse la più famosa delle feste indiane. Bella storia, come potete vedere dalla foto. A proposito, non è che quegli incalliti indoeuropei degli indiani usino la radice *dheh per le loro feste religiose esagerate? Macché, loro le feste le chiamano utsava, cioè ‘rimozione (ut) del dolore (sava)’. Molto più affascinante, non c’è che dire, rispetto alle nostre etimologie latine.

Quando hai ottant’anni suonati e sei inchiodata su una sedia a rotelle, ti piacerebbe tantissimo che le feste fossero una bella liberazione dal dolore. Magari grazie ai poteri magici di Hanuman, il dio scimmia. E invece per liberarti dal dolore ti devi accontentare della morfina – altro che Hanuman! Quanto alle feste, per te si traducono in una cosa solo: le ferie delle badanti. Confermando così lo stretto legame anche etimologico fra i due termini. E nelle feste quindi devi farti assistere dai tuoi famigliari – magari da uno solo, se non ne hai altri. Se è una festa religiosa almeno ti fai portare in chiesa, magari alla chiesetta della Casa di Riposo dove altri anziani nella tua condizione si accorgono che è festa solo perché qualche parente “largo” improvvisamente si ricorda di loro -  e viene a cercarli proprio mentre sono a messa. E questi parenti che non li vedono magari da un anno hanno una fretta tremenda, non possono veramente aspettare – e allora i volontari o il personale della Casa di Riposo portano via l’anziano dalla messa, ne sospingono la carrozzina verso la camera dove vive, tra i sorrisi un po’ imbarazzati dei visitatori che normalmente brandiscono un pacchetto, di biscotti o di cuneesi al rhum ed esordiscono con la classica frase: «Ti abbiamo portato…». Eh già, perché nelle feste piace tanto a chi può camminare sentirsi un portatore di doni, un Re Mago; ma l’anziano invalido di solito è diffidente e come il vecchio Laocoonte ha paura di quelli che portano doni. Anche se non sono Danai (immagine 2)

Questo per le feste
religiose. E per le feste civili? Non c’è nemmeno la messa… ma in compenso se il tempo è bello puoi uscire. Se i tuoi famigliari o i loro amici se la sentono di sospingere la carrozzina, puoi girarti tutta la città perché di solito non ci sono auto in giro e vige una sorta di coprifuoco da cui solo i vecchi inchiodati sulla sedia a rotelle si sentono a buon diritto esentati. E allora la festa è un fantastico vagare per le strade cittadine, costeggiando (o percorrendo) marciapiedi più o meno dissestati, fino a raggiungere lontani quartieri di periferia dove a stento si trova un bar aperto dotato di bagno per handicappati. In questo vagabondaggio, accompagnato dai versi degli uccelli che volano in cielo e dalle grida dei ragazzini che giocano a pallone nei campi, per qualche ora davvero la festa
italiana sembra diventare una festa indù,  una liberazione sia pure momentanea dal dolore e dai pensieri di sofferenza. Purché non piova. Perché a volte, anche nei giorni di festa malauguratamente piove – in questo triste angolo latino di mondo.

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