Questa sera si esibirà sul palco di Artico Festival (a Bra, nella bella cornice del Parco della Zizzola) il giovanissimo Luca Galizia, in arte Generic Animal. Il suo omonimo disco d’esordio con questo progetto (impreziosito dai testi di Jacopo Lietti dei FBYC) è già uno dei lavori più originali e interessanti dell’anno.
Con CultureClub abbiamo avuto l’opportunità (e a posteriori, vista la disponibilità e la simpatia di Luca, anche il piacere) di fare qualche domanda al promettente artista di Varese.
Partiamo dal disco: è difficile determinare con precisione le influenze di Generic Animal, ci si sente dentro emo, pop, jazz, hip-hop. Cosa pensi abbia avuto però maggiore incidenza nella composizione e nella stesura degli arrangiamenti?
È difficile individuare delle influenze precise per me, soprattutto considerando che il disco si è sviluppato in due fasi: in un primo momento ho fatto tutto da solo, registrando demo con GarageBand sul telefono, e solo successivamente ho sviluppato le idee in studio con Juju [componente degli Any Other, ndr.]. Sicuramente alcuni elementi li ho attinti dagli Adult Jazz, con cui sono stato in fissa per anni, e dalla loro miscellanea di jazz, RnB e chitarra classica. Le parti più ‘groovy’ arrivano invece dall’hip hop moderno, penso per esempio a To Pimp a Butterfly di Kendrick. In sostanza le influenze di Generic Animal sono sicuramente un mix ma di poche cose, a cui si aggiunge la mia esperienza come chitarrista in un gruppo emo [i Leute, ndr.] che comunque mi ha dato una certa impostazione nell’approccio alla strumento e agli arrangiamenti.
Il tuo eclettismo emerge anche nelle tue collaborazioni con artisti apparentemente piuttosto lontani dal tuo universo, penso per esempio a Ketama126 o Pretty Solero, dei quali hai firmato più di un pezzo. Che tipo di esperienza è stata?
È stato entusiasmante lavorare con loro, e tra l’altro è successo quasi per caso, senza programmazione: a Zollo, un mio amico e stretto collaboratore, è stato chiesto di operare un restyling su Non è Un Gioco di Pretty Solero, e lui mi ha chiamato per registrare le chitarre. Lì ho scoperto di condividere con i ragazzi della LoveGang alcuni ascolti, soprattutto pop punk, e il match tra il mio modo di suonare, che a loro è piaciuto molto, e la loro idea di musica che comunque risente di influenze emo, è stato praticamente automatico.
Quali sono i tuoi artisti preferiti nel panorama contemporaneo italiano?
Ultimamente ascolto molto volentieri artisti trap e hip-hop, non tanto per il genere in sé quanto per la componente melodica della loro musica: per esempio Tedua mi piace moltissimo sia per le interessanti soluzioni melodiche e sia per i contenuti, oppure Carl Brave e Franco126, che ho anche avuto modo di conoscere ed è un ragazzo molto simpatico.
C’è qualcuno con cui un domani ti piacerebbe lavorare?
Ho già avuto la fortuna di collaborare con artisti con cui mi sarebbe piaciuto farlo, ma se devo fare un nome dico proprio Tedua.
Una curiosità: quali sono i tuoi cinque dischi preferiti, quelli che ti hanno portato dove sei adesso?
Sicuramente dico Far Q dei Lower Than Atlantis, per cui andavo matto da ragazzino (addirittura il mio primo tatuaggio, a 15 anni, è stato il nome di questa band). Ora non li seguo più, ma all’inizio facevano post hardcore di un certo livello: Far Q è un disco violento ma con molte idee interessanti, di impronta decisamente inglese nella sostanza. Poi c’è sicuramente Bon Iver, sia per il self-titled sia per 22, A Million, che ritengo un disco sperimentale che ha tracciato la strada per nuove soluzioni dal punto di vista della produzione. Blonde di Frank Ocean è una miniera di belle cose, quel capolavoro di To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, poi dico un altro album post-hardcore, Floral Green dei Title Fight: probabilmente è anche grazie a questo disco se oggi faccio musica, speravo di riuscire a fare qualcosa del genere ascoltandolo.
Pensandoci bene forse tre anni fa non avrei risposto con questi titoli, ma penso che i dischi abbiano bisogno di sedimentare un po’ di tempo prima di poter essere considerati in una certa maniera.
I testi del tuo disco d’esordio sono di Jacopo dei FBYC ma ora stai cominciando a cantare versi di tua produzione. Come ti approcci alla scrittura e quanto parole e musica si influenzano a vicenda nel tuo processo creativo?
Dopo il disco ho recuperato alcune cose che avevo scritto molto tempo prima che iniziassi a lavorare al progetto Generic Animal: scrivevo senza la finalità di dare una forma musicale a quei versi, ma Aereoplano e Gattino [gli ultimi due singoli usciti, ndr] arrivano da lì, sono state composte nell’arco di due giorni. Con queste due canzoni l’idea di testo e l’idea melodica sono sorte quasi simultaneamente, altre volte tiro giù un testo e poi cerco di farlo combaciare con l’idea melodica che ho in mente. Ultimamente mi sono anche divertito a scrivere a quattro mani con Pretty Solero e Ketama, anche se la mia scrittura è sicuramente priva del romanticismo urbano della Lovegang: ho uno stile molto più colloquiale, potrei quasi dire che scrivo come parlo.
Se non avessi fatto il musicista, cosa pensi saresti diventato?
Quando ci penso sono percorso da un brivido, ma in realtà mi faccio un sacco di viaggi: se quel determinato pomeriggio non fossi andato a casa di mia mamma e non avessi aperto un vecchio progetto su GarageBand chissà cosa sarebbe successo. Ho cominciato a lavorare alle canzoni di Generic Animal quasi senza crederci, stavo abbandonando l’Università in quei giorni, mi interessava molto la grafica ma l’unico risultato tangibile di questa passione è la copertina del disco. Forse la verità è che non voglio sapere cosa sarei diventato, ma posso dire che ero molto scontento e sono riuscito a risollevarmi da solo, quindi forse alla fine diventare Generic Animal era l’unica cosa che sarebbe potuta succedere.