A tu per tu con Paolo Hendel

Mercoledì 13 dicembre l’attore fiorentino, il leggendario “Pravettoni” di Mai Dire Gol, presenterà a Mondovì “Fuga da via Pigafetta”, la sua prima commedia teatrale, scritta insieme a Marco Vicari e Gioele Dix. Lo spettacolo è il secondo appuntamento della stagione teatrale monregalese. Lo abbiamo contattato per una divertente chiacchierata tra teatro e letteratura, attualità e immaginazione, per riflettere sul presente e immaginare il futuro, con il sorriso.

Paolo Hendel è uno di quegli artisti che hanno la grande fortuna (o la tremenda iattura, a seconda dei punti di vista) di essere diventati una maschera. Dal1981 aoggi ha portato avanti una ricca carriera, lavorando al cinema, in teatro e in televisione, eppure chiunque veda il suo volto lo riconosce immediatamente nel suo personaggio più fortunato, quel Carcarlo Pravettoni che furoreggiò negli anni migliori di Mai Dire Gol, insieme ad altri personaggi e ad altri comici divenuti dei piccoli cult della televisione italiana. Paolo sarà a Mondovì, mercoledì 13 dicembre, con la commedia scritta insieme a Marco Vicari e al regista Gioele Dix (anche lui, dopo le sue incursioni nel piccolo schermo, ormai irrimediabilmente, associato alla figura dell’arcigno e cinico automobilista imbufalito). “In fuga da Via Pigafetta” è un progetto originale, un capitolo nuovo, a suo modo, del percorso artistico dell’artista toscano, come ci ha spiegato lui stesso, nell’amichevole chiacchierata che abbiamo avuto l’opportunità di intrattenere con lui.

 

«È la mia prima commedia, nonostante tanti anni di attività. Mi sono esibito a lungo in teatro con i miei monologhi, ma questa è la prima commedia che ho scritto. Ci ho lavorato con Marco Vicari e Gioele Dix. Marco Vicari è un giovane autore di talento, con cui preparo i miei spettacoli da qualche anno. Conoscevo Gioele Dix, ma non avevo mai lavorato con lui: gli ho proposto questo progetto. Ha accettato di partecipare e, oltre a scriverlo, ne ha curato anche la regia. Tra noi si è instaurata fin da subito una forte sintonia artistica, ed è nata una collaborazione importante».

 

“Fuga da via Pigafetta” riprende il titolo del tuo primissimo spettacolo teatrale, che si chiamava “Via Antonio Pigafetta, Navigatore”, in cui peraltro dialogavi con un televisore. C’è un filo di continuità tra questi due spettacoli?

«Sì, chiaramente si tratta di una citazione: in quello spettacolo mi confrontavo con un televisore. In questa commedia il gioco comico è tra me e il computer-domestico. Una macchina che regola la vita privata delle persone e che si comporta come una suocera rompiballe. La commedia è ambientata nel 2080, un futuro non troppo lontano, in cui si immagina che la domotica abbia raggiunto livelli di avanzamento tali che le macchine siano diventate interlocutrici quotidiane degli esseri umani. Si tratta di uno scenario nemmeno poi troppo remoto. Il computer si chiama Al, ma non come Hal-9000, il computer di 2001 Odissea nello spazio: Al come Alberto. Il pc e il protagonista ingaggiano infiniti duetti e duelli comici, con scambi di battute e battibecchi, un po’ nello stile de “La Strana Coppia” di Neil Simon».

 

Il rapporto con l’Intelligenza Artificiale è uno dei temi portanti della commedia, insieme alla sempre maggiore difficoltà che comportano i rapporti umani.

«Infatti nella commedia il protagonista ha una figlia, interpretata da una giovane attrice molto brava e molto comica, che si chiama Matilde Pietrangelo. Finiti gli studi questa ragazza va dal padre e gli dice: «Babbo, ho trovato lavoro e mi trasferisco su Marte»      . Sarà bene che ci abituiamo perché oggi i figli possono partire e cercare lavoro all’estero, ma fra quaranta o cinquant’anni potrebbero partire per cercare lavoro su un altro pianeta. Alla faccia della fuga dei cervelli! In questo spettacolo ci siamo divertiti molto a iperbolizzare quello che accade oggi e immaginare le tendenze del futuro. Ad esempio abbiamo immaginato che nel 2080 le persone possano scegliere di vendere il nome dei propri figli a uno sponsor. Così il protagonista si chiama Nestlè Monsanto Mitshubishi.

 

Facile da ricordare, non c’è che dire…

«Pensi che Nestlè ha un amico, che non compare in scena, che si chiama Gran Biscotto Rovagnati. Col nome che si ritrova si è dovuto rivolgere allo psicanalista: un luminare, il dottor Chante Clair...».

 

Se Gran Biscotto va dallo psicanalista, Anitra Wc come sta?

«Buona! Questa te la rubo! Pensa che la figlia di Nestlè si chiama Carlotta, ma solo perché lui si è opposto: la madre voleva chiamarla Robiola Osella, o la dolce Euchessina. Lui non ha ceduto: “Mia figlia non si chiamerà come un lassativo!”. Ci siamo davvero divertiti molto, tutti. E ci divertiamo ancora, sera dopo sera, a trasportare i problemi dell’attualità nel 2080: come sarà il dramma migranti? Cosa ne sarà delle nostre paure? Mi colpisce molto, ad esempio, l’importanza della percezione nell’opinione pubblica di oggi. Non è importante come sia la realtà: è importante come viene avvertita. In meteorologia esiste il concetto di “Temperatura percepita”: allo stesso modo oggi c’è la realtà percepita: si preferisce inquadrare le cose a seconda della propria percezione, a prescindere da come realmente sono. È tutto un po’ stravolto, ed è un meccanismo con cui Internet va a nozze, perchè lo amplifica e dà vita a tutto il gioco delle bufale. La rete poteva essere il più grande strumento di conoscenza accessibile a tutti e si sta trasformando nel regno delle falsità: una prospettiva preoccupante per uno strumento davvero prezioso».

 

Lo spettacolo è molto ricco di citazioni letterarie, e cinematografiche. Scrivendolo vi siete ispirati a dei modelli in particolare? Penso ad esempio alle Cosmicomiche di Calvino: so che ami molto questo scrittore.

«Certamente: sto girando l’Italia proprio con un reading dedicato a Italo Calvino, in cui leggo alcune delle sue pagine più belle e divertenti: la sua leggerezza, l’ironia, la sua straordinaria intelligenza, le sue intuizioni sono fortissime. Borges diceva che «la letteratura è una delle forme della felicità» e ha aggiunto che «chi non legge è masochista» . Mi sono accorto che in pubblico è tutto ancora più vero: leggendo in pubblico Calvino si crea un meccanismo di gioco collettivo che rende le sue pagine ancora più veritiere e divertenti. Ad esempio penso alla Cosmicomica “Tutto in un punto” in cui la signora Ph(i)Nko dà vita all’universo nel momento in cui dice «Ragazzi, come mi piacerebbe farvi un piatto di tagliatelle». È meravigliosa l’immagine di questa donna con le mani nella farina, di cui Calvino descrive minuziosamente ogni gesto, che impasta e crea l’universo. Nelle Cosmicomiche Calvino si è immaginato l’origine dell’universo: noi siamo più terra terra: guardiamo il cielo e ci immaginiamo cosa può essere il futuro. Come dice a un certo punto Nestlè: «Non sarebbe meglio,  più onesto, invece di andare a distruggere un altro pianeta, restarcene su questa terra, zitti zitti, estinguerci e buonanotte?».

 

 

Passiamo alle cose serie: come vanno gli affari alla Carter & Carter?

«Carcarlo Pravettoni purtroppo non c’è in questo spettacolo, c’è nel recital che porto in giro…C’è un personaggio, fratello di Pravettoni: Don Donald Pravettoni, che ha i capelli arancioni. Lui dice di avere un parente in America…».

 

Pravettoni, il tuo personaggio più noto, era una caricatura dei vizi della classe imprenditrice negli anni ’90 e di un certo modello di consumismo. Oggi nel tuo spettacolo ci sono personaggi che non hanno nomi propri ma sponsor, che vivono con la sola compagnia di congegni ipertecnologici. Allora mi chiedo, ha vinto lui? Chi era Pravettoni e in questi anni, cosa è diventato?

 

«Carcarlo Pravettoni è un gioco. Mi sono guardato allo specchio e mi sono comportato esattamente all’opposto di quello che sono e credo. È un gioco nato a “Mai dire gol” grazie alla fantasia della Gialappa’s Band. Io mai avrei pensato, da solo, di fare un personaggio di quel tipo: quell’intuizione la devo a loro. È un modello che va per la maggiore in giro in questo momento. È semplicemente uno come tanti, concentrato soltanto sui propri interessi, senza avere alcuno scrupolo e alcuna preoccupazione per il prossimo. E oggi funziona come allora.  Ad esempio il dramma dei migranti, che stiamo vivendo, è un tema difficile e molto complicato: mi spaventa vedere quelle forze politiche che giocano sui nostri sentimenti peggiori, senza mettersi mai nei panni degli altri. Alcune realtà del mondo sono davvero tragiche e nel migliore di casi quello che si dice è: «aiutiamoli a casa loro», che, di per sé, è anche un discorso giusto. Il problema è: se la casa gliel’abbiamo distrutta con la guerra, come si fa? È come se uno incontrasse un amico che fa l’autostop per strada e, di fronte alla richiesta di un passaggio, rispondesse: «va bene ma andiamo con la tua».

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