Haber – Della Rovere, amarezza e ironia

Al Baretti, gremito in ogni ordine di posto, l’intensa pièce “Il padre” di Florian Zeller che racconta con leggerezza e malinconia la realtà di un malato di Alzheimer

Il grande mestiere dell’attore lo si vede in uno spettacolo come “Il padre”. Uno spettacolo molto intenso, anche troppo, sembra difficile pensare che, tutte le sere, un uomo possa risalire quella china, ricostruire quel personaggio e tornare alle stesse vette interpretative. “Il padre” gira da tre anni, come ha ricordato lo stesso Alessandro Haber, il protagonista, a fine serata, i meccanismi tra gli interpreti sono perfettamente rodati. Eppure non si percepisce alcuna routine in quello che sta avvenendo sul palco, nessuno di quei cali di tensione che, talvolta, si avvertono negli spettacoli che hanno sulle spalle una lunga tournèe, nella noia di un gesto e di un suono compiuti e replicati fino allo sfinimento. Forse è naturale che sia così, un testo come quello di Florian Zeller lo si interpreta vestendolo, immergendovisi dentro a capofitto, senza risparmio o non lo si interpreta. “Il padre” viene in genere presentato come una commedia, eppure il pubblico monregalese, alla rappresentazione di Lunedì 28 gennaio al Baretti, ha riso pochissimo, e quanta amarezza in quelle risate. Merito sicuramente della bravura di Haber, autore di un’interpretazione sfaccettata, impeccabile, attenta ad ogni gesto e ad ogni atteggiamento. Il suo Andrea, malato di Alzheimer, è stato evidentemente costruito con cura maniacale, non solo nella psicologia, incrinata dalla malattia, ma anche nella gestualità, nelle movenze di un uomo anziano eppure ancora vitale. Una personalità in cocci, di cui testo e performance lasciano intuire il disegno primigenio: un uomo intelligente, vivace, vivo, carismatico, autoritario, sicuro di sé, ora smarrito nel proprio corpo e nella propria mente, prigioniero in un mondo che non comprende più. La malattia lo costringere a vivere in un tempo appiattito, in cui si confondono continuamente presente e passato, in cui si sovrappongono volti e luoghi in un insieme caotico, ossessionante. Il tormento del malato si riflette in quello di chi gli sta vicino: Lucrezia Lante della Rovere, in scena Anna figlia affettuosa e razionale, aveva in consegna tutti i dubbi, i dilemmi, i sensi di colpa di chi è costretto a scegliere ogni volta tra la propria vita, i propri spazi, e l’affetto per il genitore. Bravi anche gli altri interpreti, Ilaria Genatiempo, badante paziente, Daniela Scarlatti, infermiera, Alessandro Parise e David Sebasti, compagni esasperati e cinici di Anna, i cui ruoli spesso restano un po’ enigmatici. La rappresentazione, infatti, è frammentata in quadri, scene separate tra di loro, in un continuo spostamento nello spazio e nel tempo. Il malato confonde continuamente i luoghi, non sa mai dove si trova. Allo stesso tempo confonde le facce, così il ruolo dei co-protagonisti non è mai ben definito. Lo spettacolo rispecchia, anche nella forma frammentaria e caotica, lo spaesamento che affligge Andrea e che lo disorienta fino alla disperazione, fino all’invocazione finale del primo e più importante punto di riferimento della vita di un essere umano: la mamma. Il pubblico monregalese, completamente assorto e coinvolto in quanto sta accadendo sul palco, non attende nemmeno la completa uscita di scena degli attori per lasciarsi andare ad un applauso lungo e caloroso. Dopo la calata finale del sipario, la compagnia si fa avanti alla ribalta, ricorda il proprio impegno per l’Associazione Italiana Malati di Alzheimer, invitando a lasciare qualche contributo all’incaricato che aspetta nel foyer. Un’idea avuta dalla compagnia durante le prove dello spettacolo.

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