Il racconto di Giovanni, 47 anni: «Ero un impresario, mi sono rovinato con le videolottery»

La testimonianza: «Ne sono uscito, ma oggi ancora mia moglie fatica a fidarsi»

Si chiama Giovanni e ha 47 anni. Di lui non diremo altro se non che aveva un’impresa edile in provincia. «Ho aperto la mia attività a fine anni ‘90 e sono arrivato ad avere 8 operai che lavoravano per la mia azienda – racconta –, ma tutto questo è durato fino alla crisi del mercato immobiliare ed è terminato con la mia dipendenza dal gioco d’azzardo».

Nel suo racconto, Giovanni è dettagliatissimo e non nasconde nulla: «All’inizio il gioco era una piccola parentesi, qualche euro messo nelle slot machine nel bar dove ero solito pranzare, poi sono arrivate le sale da gioco con le video lottery. Lì si può giocare con le banconote, si possono inserire fino a 500 euro e la puntata singola può arrivare a 10 euro… in pochi minuti ero in grado di bruciare ciò che avevo guadagnato in un’intera settimana di lavoro. Ogni scusa era buona per entrare nella sala giochi: una giornata storta, il pagamento per un lavoro fatto, un litigio in famiglia… e i 10 minuti preventivati per il gioco diventavano ore, interi pomeriggi in cui non andavo a lavorare, ma rimanevo rintanato lì, ubriaco di suoni e luci… se chiudo gli occhi li sento ancora rimbombare nelle orecchie…».

I prestiti dagli amici, i soldi che se ne vanno, la crisi
Da qui, la spirale si fa sempre più in discesa: «Ho iniziato ad avere problemi nel pagare i fornitori, a ritardare il pagamento degli stipendi ai miei dipendenti… davo la colpa alla crisi, ma il vero problema erano le video-lottery. Non riuscivo a fermarmi, ad ogni perdita mi dicevo “Basta! È l’ultima volta che entro in questo posto di merda!”, ma il giorno dopo ci rifinivo dentro con la speranza di recuperare ciò che avevo perso il giorno, le settimane, i mesi prima. A casa era un disastro: non sopportavo più i miei figli e mia moglie, le loro richieste di attenzioni, di essere presente nelle cose di tutti i giorni… ad ogni loro tentativo di capire cosa stava accadendo io reagivo urlando, accusandoli di essere loro il mio problema. E intanto i sensi di colpa non mi facevano dormire, mi mancava il respiro ogni volta che sentivo il cellulare squillare per paura che dall’altra parte ci fosse un creditore che aspettava di essere pagato o uno degli amici a cui avevo chiesto un prestito raccontando una balla».

Come ha trovato la forza di interrompere la discesa? Racconta: «Il primo a cui ho confessato la mia dipendenza è stato mio padre: è entrato nel mio ufficio e mi ha trovato a piangere come un bambino, è stata quasi una liberazione raccontargli cosa stava accadendo, l’ho fatto tutto d’un fiato, con la paura che, se mi fossi fermato, non avrei più trovato il coraggio di farlo. È’ stato lui ad accompagnarmi per primo al servizio dipendenze del nostro territorio, ad aiutarmi a parlare con mia moglie, ad accompagnarmi nel ripianare i debiti che avevo accumulato. Sarò sempre grato a mio padre e alle persone che ho incontrato nel mio percorso di cura, mi hanno accolto e sostenuto quando, dell’uomo che sono, non c’era nemmeno più l’ombra.

E oggi? «Oggi ho chiuso la mia azienda e sono tornato a fare il muratore per altri. In famiglia è ancora dura: mia moglie fa fatica a fidarsi di me, cerca continue rassicurazioni sul fatto che non gioco più… Lo so che sarà dura riconquistare il suo rispetto e la sua fiducia, l’ho tradita con la peggiore delle amanti, ma recuperare i miei affetti ora è l’unica cosa davvero importante».

Testimonianza raccolta all’interno del progetto “Punta su di te 2.0”

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