Roberto Lepetit, patriota e martire

Imprenditore, poi carcerato nel lager tedesco, dove perse la vita

«E’ la mia prima volta a Garessio anche se di questo paese ho sempre sentito parlare molto. Ho visitato la fabbrica, ho riassaggiato i “garessini” che mi portava nonna ed entrando in villa ho percepito un naturale legame, molto forte. La tragedia del nonno per anni fu argomento tabù: una sorta di fuga dal dolore. Ma nel 1998, quando morì nonna, decisi di aprire quelle scatole con su scritto “guerra”. Fu una lettura scioccante, però utile a curare, elaborare e superare. E quelle lettere, quei documenti conservati per anni, sono stati utili per il libro. In diverse occasioni ho avuto modo di percepire l’affetto e riconoscenza che lega Garessio a Roberto Lepetit. Gli stessi sentimenti che sento ora ancora così vivi». Anche lui si chiama Roberto, ed è il nipote del noto industriale Lepetit a cui Susanna Sala Massari ha dedicato il volume “Roberto Lepetit. Un industriale nella Resistenza” presentato giovedì sera 7 maggio nel salone comunale su iniziativa del Polo culturale “Città di Garessio. «Un momento importante per la nostra città – ha detto il presidente del Polo culturale, Sebastiano Carrara – ma pure per la valle: la storia Lepetit ha avuto significativi risvolti su tutto il territorio». Presente, oltre al nipote e all’autrice, anche il direttore dell’Istituto Storico della Resistenza della provincia di Cuneo, Michele Calandri. Il libro ripercorre la vita di Roberto Lepetit approfondendone la storia aziendale, sociale e politica. Durante il fascismo e la guerra, Lepetit mise a disposizione le sue risorse e le sue relazioni per aiutare partigiani, ebrei, soldati alleati, utilizzando anche le sue fabbriche come copertura e i suoi dipendenti più fidati come agenti segreti. Internato nel campo di concentramento di Bolzano, svolse una preziosa attività clandestina e riuscì a organizzare una farmacia interna. Deportato a Mauthausen, morì nel sottocampo di Ebensee. «Il volume di Susanna Sala Massari – ha commentato Calandri che ha definito Roberto Lepetit «un Olivetti ante litteram» – propone una costruzione filologica, sulla base di documenti e testimonianze, mettendo a confronto fonti a volte opposte e difficili da comprendere, nel contesto di una Milano in cui la Resistenza, a differenza di quella nelle vallate, fu difficile e pericolosa, fatta di grandi personaggi ma pure di doppiogiochisti. Particolarmente toccante la parte conclusiva, da cui si evincono l’animo, la disperazione della moglie che cerca notizie sul marito deportato; una cronologia coinvolgente». 

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