Pena di morte: solo il 43% dei giovani monregalesi è contrario

Inchiesta-sondaggio effettuata con un questionario via internet tra chi ha un’età compresa fra i 16 e i 20 anni

“Dead man walking” non è aggiornato. La frase più famosa del film di Tim Robbins, forse oggi va ribaltata: per gli adolescenti, una persona non vale più della sua peggior azione. O almeno, la pensa così quasi la metà dei ragazzi che si dice favorevole alla pena di morte. A seguito di un sondaggio, svolto nel Monregalese, si è scoperto che il 44% dei giovani è genericamente a favore della pena capitale, il 13% è parzialmente favorevole e solo il 43% è assolutamente contrario.

Il questionario
Il questionario è stato aperto su internet, attraverso la piattaforma di Google-docs che consente di realizzare proprio questo tipo di domande, ed è stato proposto a ragazzi e ragazze fra i 16 e i 20 anni. Il campione che ha risposto è arrivato fino a 250 persone. Il sondaggio si componeva di due interrogativi: il primo richiedeva di esprimere la propria posizione circa la pena di morte, nella classica forma “favorevole” o “contrario”; il secondo quesito appariva solamente al campione che si era dichiarato “contrario” alla domanda principale e chiedeva: “Saresti contrario anche se si trattasse di un terrorista?”. Alla prima domanda, 110 ragazzi hanno risposto di essere favorevoli e 140 hanno risposto di essere contrari. Arrivati al secondo quesito, però, in 33 hanno cambiato idea (il 24% dei “contrari”, il 13% del totale). Il risultato finale dunque è che solo 107 su 250 (il 43%) ha risposto di essere assolutamente contrario.

Domanda n.1 

Domanda n. 2 (in caso di risposta "contrario")

Giustizia o vendetta?
È difficile immaginare le cause che spingono un adolescente a sostenere l’introduzione della pena capitale. Probabilmente il campione ha scelto lasciandosi sopraffare da sentimenti personali, precipitosi e istintivi. Ormai viviamo in una società mal informata e influenzata dai media che quotidianamente colpiscono l’immaginazione e le fantasie più violente degli uomini. Cosi facendo si alimenta un senso di vendetta collettivo che spesso non corrisponde in modo proporzionato alla colpa commessa. Immaginiamo che un condannato per omicidio doloso venga sottoposto alla pena capitale, potremmo davvero chiamala giustizia?

La pena stessa graverebbe non solo sul condannato, ma anche sulla famiglia che nulla può delle criminalità dello sciagurato: la morte di un familiare è sempre fonte di dolore e disagio. La punizione applicata deve essere mirata solo ed esclusivamente al responsabile che ha “tradito” la società non rispettandone le leggi. Uno Stato che estende la sofferenza già terribilmente radicata, non tutela la comunità, bensì la terrorizza. L’idea secondo cui, aggravando la pena, i potenziali delinquenti siano scoraggiati dal compiere il reato, non è sostenuta dai fatti. Il dibattito che quotidianamente impegna i giuristi si basa sulla contrapposizione tra chi sostiene un sistema in cui maggiore è la pena applicata, minore è la volontà di compiere il reato e chi supporta la tesi opposta. Ma la cura al malessere non può essere la punizione.

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