Il Governo mette in vendita le case popolari: l’allarme degli inquilini

Pioggia di firme anche a Mondovì per dire “no” al Decreto che consente a Comuni e ATC di mettere all’asta le case popolari. 

Pioggia di firme anche a Mondovì, per dire “no” a uno dei Decreti più discussi dell’ultima ora. Parliamo del “Piano casa” del cosiddetto Decreto Lupi, che in pratica consente a Comuni e ATC di mettere in vendita all’asta le case popolari. Il risultato è che gli alloggi potrebbero finire in mano a privati, cancellando così il concetto di “affitto convenzionato”.
A Mondovì esistono 30 immobili di edilizia popolare, di cui otto di proprietà comunale e gli altri dell’ATC. In tutto si tratta di circa 220 alloggi. Non tutti sono affittati. Per fortuna siamo ben lontani dalle situazioni delle grandi città italiane, dove le case popolari vengono occupate abusivamente e dove si rende necessario intervenire con gli sgomberi coatti. La raccolta firme si è tenuta domenica 14 dicembre, in piazza Martiri della Libertà, dove il Comitato monregalese per il diritto alla casa aveva allestito un mini-presidio. «Questo Decreto, invece di risolvere l’emergenza abitativa, potrebbe aggravarla – spiega la referente del Comitato, Noemi Boglione –. Le ragioni sono chiare: dal testo emerge l’obiettivo di vendere all’asta e a prezzo di mercato il patrimonio dell’edilizia popolare, senza specificare quale sarà la sorte degli assegnatari la cui abitazione dovesse venire acquistata da un privato. Essi hanno diritto di prelazione per quanto riguarda l’acquisto degli alloggi in cui vivono, che in ogni caso saranno venduti a prezzo di mercato e non agevolato». Quasi una presa in giro: un mese e mezzo di tempo per comprare l’alloggio, dopodiché si va all’asta. «Nella maggior parte dei casi una famiglia che vive in casa popolare non ha la possibilità economica di acquistare una casa». Il principio su cui si fonda il Decreto è quello delle “esigenze connesse a una più razionale ed economica gestione del patrimonio”. Tradotto: fare cassa.
Il Decreto attualmente non è ancora attuato, perché spetta alla Regione decidere se metterlo in pratica o meno. Tuttavia in Conferenza Stato-Regioni, le uniche a schierarsi apertamente contro sono state Lazio e Campania. «Anche la Regione Piemonte deve opporsi – è l’appello del Comitato –. Finora sia la Regione Piemonte che l’ATC hanno mantenuto il silenzio e non hanno ritenuto doveroso avvisare gli assegnatari delle sue conseguenze. Le firme che abbiamo raccolto saranno presentate in Regione per richiedere il ritiro del Decreto».

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