La deportazione degli ebrei

La Shoah

Dopo il fallito putsch di Monaco del novembre 1923, Hitler venne arrestato e processato per alto tradimento. Il processo fu l’occasione per attirare l’attenzione della pubblica opinione sul suo partito e sulle sue idee. Fu condannato a cinque anni, ma rimase in carcere soltanto sei mesi, durante i quali scrisse il Mein Kampf (La mia battaglia), in cui elaborò i capisaldi del nazismo, fra cui la teoria discriminatoria della superiorità della razza ariana. In base a questo principio, gli ebrei dovevano essere banditi dallo Stato, in quanto «pericolosa categoria dei non dotati di sangue germanico», «miserabili e depravati criminali», «non è possibile alcun patteggiamento con loro», come gli zingari, i malati, i deformi, i «matti» e tutta «la quantità dei degradati invisibili». Inizierà così quello che Bertolt Brecht definirà «il più lucido e sterminato delitto mai compiuto nella storia».
Inizialmente Hitler aveva progettato il trasferimento in massa di tutti gli ebrei europei nell’isola africana del Madagascar, ma rinunciò per evidenti difficoltà logistiche. Nei primi mesi della guerra ordinò che venissero eliminati dalle SS e dalla Gestapo, ma anche questo sistema si dimostrò inefficiente. Hitler, allora, passò al piano denominato “soluzione finale”, che prevedeva l’eliminazione fisica nei campi di sterminio. L’organizzazione fu affidata ad Adolf Eichmann. Le donne e gli uomini in buona salute erano condannati ai lavori forzati, pochi sopravvivevano alle condizioni di vita dei campi fatte di stenti e violenze. Le donne incinte, i bambini, gli anziani, gli ammalati, ritenuti inadatti al lavoro erano subito uccisi nelle camere a gas. Molti detenuti furono usati come cavie per atroci esperimenti medici. Questo sterminio venne chiamato shoah, che in ebraico significa «tempesta devastante» (da un libro della Bibbia, Isaia 47, 11) ed è collegato all’idea di distruzione. Questa parola ricorre molto spesso nel Libro di Giobbe, nella lingua del profeta Isaia e in alcuni Salmi. Talvolta si usa anche il termine olocausto che però ha un significato più ampio: il termine, che deriva dal greco, è legato a una particolare forma di sacrificio animale praticato nel mondo antico, in cui non si fa differenza tra le parti della vittima bruciate sull’altare per la divinità e quelle conservate per gli uomini: le vittime sono bruciate interamente sul fuoco.

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