Profughi: l’accoglienza nel nome del business o dell’umanità?

Il quadro attuale dell’accoglienza stessa può essere appunto discutibile. Ma è codificato, è normato, è così impostato.

Dalle nostre parti – e non solo – si discute, magari persino animatamente, sull’arrivo dei profughi ospitati nei paesi, secondo la destinazione assegnata dalla Prefettura e all’interno di una prassi ormai consolidata, in attesa di vagliare la possibilità o meno di accogliere la richiesta di asilo. Da talune sponde (che hanno anche riferimenti politici evidenti) si continua a insistere su un tasto che spiazza piuttosto, perché isola un elemento anche marginale. Cioè si continua a dire che si tratterebbe di un business, a vantaggio di chi si rende disponibile – dentro le norme previste – a gestire appunto l’accoglienza dei rifugiati. Beh, si può discutere su tutto. Ed il quadro attuale dell’accoglienza stessa può essere appunto discutibile. Ma è codificato, è normato, è così impostato. D’altronde ci si deve pure occupare di chi è approdato tra noi senza niente, spinto da situazioni di miseria, di fame, di guerra, di oppressione, di sfruttamento… E’ una questione di umanità, e basta. Perché i profughi sono persone, in carne ed ossa. Lo ricorda, con lo sconcerto di chi fa capire che non bisognerebbe dimenticarlo mai, lo stesso Papa Francesco recatosi a Lampedusa ed a Lesbo. Ma che si deve fare, di fronte a chi è allo stremo? La risposta è solo l’accoglienza! Se però ci si depista, immaginando che sia criticabile il costo che tutto questo comporta, si smarrisce il senso delle cose. Certo, l’accoglienza è migliorabilissima. Non è logico lasciare i rifugiati in condizione di inattività. Vanno comunque accompagnati e indirizzati, in un contesto per loro inedito ed inesplorato. Però prima di tutto ci sono loro, i profughi, gambiani, eritrei, siriani, pachistani, nigeriani, sudanesi… . Altrimenti ci si presta a seguire l’onda che fa leva sulla discriminazione sottile ma penetrante. Chi critica aspramente la politica dell’ospitalità, mette subito le mani avanti, ribadendo: “Noi non siamo razzisti, però…”. E’ un classico modo di sgattaiolare a lato, scordando che nelle pieghe di tutto questo chiacchierare qualche tossina passa e si sedimenta. I rifugiati sono persone nel bisogno. Sono anche uomini e donne come noi, con pregi e difetti. Possono aver sbagliato e possono sbagliare ancora. Ma chi è perfetto? Le regole valgono per tutti. Non ci piove. Però partendo da chi è in affanno estremo. Cercando soluzioni accettabili, compatibili, il più possibile positive per tutti. Ci vorrà un po’ di impegno, occorrerà un po’ di fiducia reciproca, sarà necessario rimboccarsi le maniche (tutti). Ma così l’umanità cresce, va avanti, migliora. E si smetta di usare espressioni troppo forti e spesso non del tutto credibili. Chi parla di “invasione” forse dovrebbe rileggersi i dati del recentissimo Rapporto Caritas Migrantes sull’immigrazione in Italia appunto. Da cui risulta che gli immigrati sono sì oltre 5 milioni, ma sono stabili. Anzi in alcune regioni c’è una decrescita. Ed anzi stanno diminuendo anche gli stranieri nelle nostre carceri.

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