La festa che forse più di tutte ha smarrito, nel trascorrere dei secoli, il suo significato originale è il Carnevale. Ridotto oggi ad un coloratissimo carrozzone di maschere, coriandoli, goliardia, è poco più dell’ultimo bagordo prima del digiuno quaresimale, un’occasione di festa e spensieratezza. Poco o nulla è rimasto delle connotazioni che lo caratterizzavano alle sue origini, non ben definite, perché il Carnevale è sempre esistito, in qualche forma. Si perdono nella notte dei tempi le tradizioni che vi hanno dato origine, aggregandosi le une alle altre, talvolta stratificandosi in quel sincretico calderone popolare, in cui si mescolano anche superstizioni e la magia, antichi riti pagani e credenze celtiche. Il Carnevale è la festa popolare per eccellenza, annuncia l’inversione del cammino solare, che poi culmina con la Pasqua, che segna il ritorno della primavera. Una ritualità fondamentale per i contadini, determinante per propiziare la buona riuscita del raccolto. Tracce di queste tradizioni vengono perpetuate ancora oggi nei Carnevali alpini, in cui si ritrovano alcune antiche consuetudini, personaggi e maschere caratteristiche di queste incarnazioni. Tale è l’orso occitano, al centro della nuova pubblicazione curata dagli antropologi Piercarlo Grimaldi e Fulvio Romano, che raccoglie contributi di studiosi internazionali, prendendo direttamente le mosse da due convegni organizzati nel 2007 e nel 2008 (“Il risveglio dell’orso” e “Sui sentieri dell’orso occitano”) dedicati a questi temi, nel periodo in cui il professor Romano era preside all’Alberghiero di Mondovì-Barge-Dronero (istituto che infatti fu coinvolto nell’organizzazione di una “Cena dell’orso”). I lavori di quegli eventi sono stati il punto di partenza per questo volume, che conta sui contributi scientifici, oltre che dei due curatori, di André Carénini, Jean Dominique Lajoux, Thierry Truffaut, Samuel Kinser, Gianpaolo Fassino, Ambrogio Artoni, Davide Porporato, Agostino Borra, Luciano Nattino, Battista Saiu, Cesare Poppi, Gianpiero Boschero.
INTERVISTA - L’orso, tra natura e spiritualità
Il professor Fulvio Romano ci racconta, in breve, i contenuti del volume, e cosa rappresenta il personaggio dell’orso nella tradizione contadina: «Nella ricerca abbiamo approfondito, tra le altre cose, i rapporti tra il personaggio dell’orso e le tradizioni più antiche, sia in ambito folklorico che astronomico-calendariale. L’orso è un totem, è selvatico, ma è stato anche al centro di una connotazione religiosa, c’è una tradizione francese legata alla “religione dell’orso” di cui parlano i grandi antropologi Claude Gaignebet e Jean Dominique Lajoux, naturalmente si parla di tempi molto remoti. È interessante esplorare il legame tra la figura dell’orso e certe figure di santi. È interessante osservare come il nome più dell’orso nella tradizione fosse l’ours Martin. In un altro lavoro io ho dato una lettura “ursina” della devozione a San Fiorenzo: non è un caso che i fondatori della chiesa di Bastia fossero dei benedettini che arrivavano dall’Umbria, dove c’è una tradizione che vuole San Fiorenzo addomesticatore di orsi. Io mi sono concentrato anche sui collegamenti tra l’orso e Martino. La chiesa parrocchiale di Valdieri, rifacendosi al Carnevale dell’orso di segale, è intitolata a San Martino; lo stesso quella di Ormea, sul cui sagrato era di scena il Carnevale, con uomini mascherati da orsi e da lupi».
In effetti anche il re Artù del ciclo arturiano, secondo la tradizione non è morto ma giace addormentato, ha la stessa radice ursina…
«Su Re Artù infatti c’è un saggio che analizza proprio questo aspetto. Altre curiosità che non tutti sanno: il giorno di San Martino è il giorno in cui l’orso entra in letargo, l’11 novembre, ed esce dal letargo la notte della Candelora tra il 2-3 febbraio. L’11 novembre c’è una stella, Arturo, che “scompare” dal cielo. La radice art- significa orso (si pensi ad arktos in greco). Nello stesso giorno si leva la stella Antares ovvero l’”antimarte” letteralmente. Martino ovviamente deriva da Marte, la divinità pagana che in origine era il dio della fertilità della terra, non tanto il dio della guerra. Intorno al 2 di febbraio rispunta Arturo, e Antares a sua volta scompare. Arturo è il guardiano dell’orsa, le due orse maggiore e minore, che sono costellazioni che indicano il nord. Questi miti nella loro versione più recente sono nati tra il Duecento e il Trecento, ma hanno radici anche più antiche, preromane. Tenga presente anche che il giorno di San Martino oltre a dividere l’anno in due, nonché segnare la fine dell’estate, è anche la festa in cui si fa il primo vino novello, si uccide il maiale. San Martino è il primo Carnevale, che precede quello vero e proprio, anche qui un rito di passaggio. Un tempo il calendario era lunare, non solare. Notate che tra l’11 novembre e il 2 febbraio ci sono 84 giorni che corrispondono a tre lunazioni. Intorno alla notte di San Martino, se c’è la luna nuova, ci sarà lo stesso fenomeno tre mesi dopo. Così si generava una concatenazione di detti popolari fatti risalire a San Martino, per predire come sarebbe andata la successiva annata agricola. La serie di detti comprende Santa Bibiana, Santa Barbara, Santa Lucia, Notte di Natale. Il detto natalizio dice che se la notte di Natale c’è la luna piena “se hai due pecore mangiane una”. Questo perché se c’è la luna piena a Natale ci sarà anche alla Candelora, quindi la Pasqua sarà lontana. Se c’è la luna nuova, la Pasqua sarà vicina, e l’orso uscirà per annunciare la primavera. Solo con la Pasqua nella civiltà contadina inizia la primavera».
I contenuti del libro sono frutto di un lavoro di squadra, soprattutto italo-francese dunque?
«Queste ricerche sono state condotte da me e dai miei colleghi. Con il professor Grimaldi da anni collaboriamo e discutiamo di queste cose. Lui ha anche un bel gruppo di collaboratori che danno una mano. Nel libro ci sono interventi di antropologi fondamentali, tra gli altri quello di Lajoux, un genio, che poi ha studiato le tradizioni ursine in tutto il mondo: c’è in Giappone, in Russia, in Spagna».
La maschera dell’orso è una tradizione esclusivamente montana?
«Oggi nei Carnevali alpini è caratteristica la presenza della maschera dell’orso, ma la cosa era anche appannaggio della pianura. Io oggi abito a Margarita: parlando con gli anziani del luogo, molti si ricordavano che un tempo una delle maschere tradizionali del Carnevale era l’orso. Anche in Valle Corsaglia c’era il personaggio dell’orso: si portava in giro una gabbia con un uomo travestito da orso. Ogni civiltà contadina si costruiva il suo orso. A Valdieri c’era l’orso di segale, nell’Astigiano c’è l’orso fatto con i residui della mietitura».