Ritardi nella trasformazione della Polstrada di Ceva in Ufficio della Questura: «Il ministro ci ha ripensato»?

Il sindacato Siulp invia una lettera al ministro Lamorgese chiedendo il perché non sia ancora avvenuta la riconversione. «Siamo in un limbo operativo e funzionale»

C’è preoccupazione da parte del sindacato di Polizia Siulp in merito ai ritardi sulla riconversione della sede della Polizia stradale di Ceva in Distaccamento della Questura di Cuneo. Per questo il segretario generale del sindacato cuneese, Alessandro Digeronimo, ha inviato al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, una lettera in cui chiede certezze e conferme.
«Era il 22 giugno – si legge nella missiva – e a Ceva, durante la gradita visita del capo della Polizia, Gabrielli, alla presenza del ministro Fabiana Dadone, e del vicepresidente della Regione, veniva siglato un protocollo d’intesa con il quale il Distaccamento di Polizia stradale di Ceva, chiuso per “spending review”, veniva riconvertito in un “avamposto” della Questura di Cuneo. Tra i benefici, era ricompreso quello di ovviare all’isolamento ed ai disagi connessi alla mancanza di un Commissariato ad una parte cospicua della “Granda”, già “emarginata” per evidenti ragioni orografiche, climatiche e di collegamenti viari. Agli inizi di questo difficile 2020, la decisa e ragionata protesta del SIULP piemontese, avversa a quello che è stato definito da tutte le parti coinvolte un arretramento dello Stato da quei territori e definita eufemisticamente “razionalizzazione” da parte degli ambienti dipartimentali della Polizia stradale, si univano convinti molti rappresentanti delle Istituzioni parlamentari, della società civile cebana (circa 90.000 residenti) ed alcune altre Organizzazioni sindacali. L’articolata iniziativa del SIULP cuneese sfociava in una sentita e partecipata manifestazione svoltasi il 10 febbraio davanti agli Uffici del Distaccamento di Ceva». «In quella occasione – continua il sindacato –, gli autorevoli interventi di sindaci e parlamentari davano voce e forza alla necessità ineluttabile di arginare un arretramento da parte dello Stato che appariva, ai più, ingiustificato ed inopportuno. Si addiveniva così all’intesa del 22 giugno, in cui le parti firmatarie (capo della Polizia, Regione e sindaci) si impegnavano a dare attuazione al progetto, entro e non oltre il 30 settembre».
«Appare evidente che la presente iniziativa epistolare – si legge ancora – nasce dall’esigenza di sapere quali siano i reali motivi per cui, ad oggi (28 novembre, ndr), il patto in parola sembrerebbe essersi arenato. La presente è intesa a infrangere quel silenzio e per richiamare alla memoria la solennità degli impegni a suo tempo assunti dalle parti. Ciò, nonostante vi siano stati mesi senza emergenze sanitarie, i locali siano già in uso alla Polizia di Stato ed il personale necessario sia già dislocato nelle sedi, con ampio bagaglio professionale e di esperienza, il tempo sembra essersi fermato alla data del 22 giugno. La preoccupazione che serpeggia tra la categoria e la collettività, nonché fra i rappresentanti parlamentari dei territori interessati, è relativa ad un ipotetico ripensamento da parte del Ministero dell’Interno, ovvero della Regione Piemonte, ovvero delle Amministrazioni comunali interessate. Comprendiamo che, dal 3 novembre, siamo nuovamente tutti in piena emergenza sanitaria e sociale e non si intende assolutamente interferire nell’attività dell’autorità nazionale di Pubblica sicurezza, bensì chiedere che si proceda alla promulgazione dei decreti di attuazione e riconversione degli Uffici in oggetto, nonché avviare i progetti che sembravano cosa già fatta. Dopo le dichiarazioni del capo della Polizia, ad essere maggiormente soddisfatti erano i cittadini dei comprensori dei territori coinvolti, perché pregustavano la possibilità di godere della presenza, anche se distaccata, di un Ufficio alle dirette dipendenze del questore, nonché risparmiare centinaia di chilometri, ogni qualvolta, vi sia la necessità di ottenere un titolo autorizzativo rilasciato dalla Questura. Come rappresentanti dei lavoratori della Polizia di Stato, intendiamo rappresentarle il disagio di tutti coloro che, in attesa delle superiori determinazioni, sono attualmente sospesi in un “limbo operativo e funzionale” che, come già detto, non trova motivazioni e spiegazioni comprensibili. Signor ministro, ricordando e riconoscendo quanto da lei fatto e deciso nell’incontro del 4 marzo alla presenza del governatore del Piemonte e dei sindaci di Ceva e Borgomanero, intendiamo ringraziarla per il tempo prezioso che vorrà o potrà dedicare a questo accorato appello. Le saremo ancora più grati, se il suo autorevole giudizio, sulla tematica evidenziata, venisse incontro alle aspettative della categoria e della collettività».

Nella foto, la visita del capo della Polizia, Franco Gabrielli e del ministro Dadone lo scorso 22 giugno a Ceva

 

 


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