Provate a rispondere a questa domanda: qual è il reparto più felice di un ospedale? La risposta è chiara: il Punto nascite. Tutti siamo abituati ad associarlo alla gioia più grande, al miracolo della vita, ai fiocchi colorati e ai sorrisi. Il Covid ha stravolto anche questo: «In un primo tempo, quando la pandemia era in fase esplosiva, erano vietati gli ingressi perfino ai papà», ricorda la dottoressa Alice Peroglio, dirigente facente funzione di Ostetricia e Ginecologia.
Il reparto dei sorrisi è diventato un tunnel in cui la neo mamma entra da sola, perché non si può rischiare nemmeno per un istante che il virus passi. E Mondovì è diventato un “punto nascite Covid” specializzato – l’unico in Asl – solo per l’intuizione di chi ci lavorava dentro: «Era fondamentale separare i percorsi delle mamme positive e di quelle negative: per curare le prime e tutelare le seconde. Senza mai perdere di vista il punto centrale: il parto, la nascita». Ma come si fa a coniugare i due universi? L’emisfero dei bimbi da abbracciare, con il mondo di fuori che vieta gli abbracci? «Assolutamente fondamentale la preparazione con le mamme, nelle settimane precedenti. Tutte hanno capito. E, assieme a loro, i papà. La parte più difficile? Quando una paziente a termine gravidanza scopriva di essere positiva al momento del ricovero: dovevamo rassicurare, spiegare che il figlio era al sicuro. Ho una soddisfazione: nessun operatore, in reparto, si è infettato». I risultati sono oggettivi. Ma tutto questo, quanto sforzo è costato? «Guardi… no, non lo nego: ci sono stati momenti duri. Molto. E, da responsabile, sapevo che tutti guardavano a me: le ostetriche, i medici, le mamme. C’è voluta forza. Smettere? Non ci ho mai pensato. Ma quando ti accorgi del peso che ricade su chi hai a casa… sì, è stato difficile».