Teresa Roatta, giovane medico tra i poveri, nel cuore del Senegal

Monregalese, si è laureata con il massimo dei voti, poi non ci ha pensato un attimo ed è partita per l’Africa: «Le persone non hanno niente, ma sono felici. C’è grande bisogno di farmaci. Chi può ci aiuti»

Mente brillante e cuore grande. Teresa Roatta, di Bastia Mondovì, ha appena 24 anni, ma le idee chiarissime e determinazione da vendere. Quest’estate si è laureata in Medicina e Chirurgia all'università di Torino con 110 e lode, seguendo il corso interamente in lingua inglese, e a novembre inizierà la specialistica in “Anestesia, rianimazione, terapia intensiva e del dolore”. Conclusa la prima parte di studi, in attesa del nuovo ciclo, Teresa si è goduta appena qualche giorno di vacanza, prima di partire volontaria per il Senegal, dove adesso lavora in un piccolo punto di medicazione “di fortuna”, nel villaggio di Bona. L’abbiamo contattata, per farci raccontare la sua esperienza.

Teresa, perché sei partita per il Senegal? Di cosa ti occupi in particolare?
Non sono capace di stare ferma, amo scoprire nuovi posti, viaggiare, vedere culture diverse dalla nostra e soprattutto ho voglia di fare qualcosa di utile per gli altri. Sono qui dal 29 settembre e ripartirò il 16 ottobre. Insieme ad altri quattro volontari lavoro in una piccola capanna adibita ad "ambulatorio". Ci occupiamo perlopiù di cure di primo soccorso, come la medicazione di ferite e la cura delle malattie più comuni, con farmaci di prima di necessità. L'Associazione PratiCare (la Onlus torinese che la supporta) organizza missioni della durata di due settimane, ma solo da maggio a novembre. Durante i restanti mesi non c'è nessuno e la popolazione rimane quindi senza alcun tipo di cura o follow-up.

Com’è la vita lì? Quali sono i principali problemi?
Le giornate sono calde e lunghissime, soprattutto per le donne, che lavorano nelle risaie sotto il sole e con le gambe immerse nell'acqua stagnante. Tutti fanno lavori pesanti, per questo soffrono di numerose malattie legate alle condizioni lavorative. A complicare le cose ci sono poi una profonda povertà e la totale mancanza di risorse di prima necessità. L’acqua e luce, ad esempio, sono disponibili solo in alcuni momenti della giornata. L’Ospedale più vicino si trova a più di 100 km e in tutto il villaggio c'è solo una macchina, oltre a qualche moto vecchia e sgangherata. Dal punto di vista medico, si verificano tante infezioni: respiratorie e cutanee, in gran parte, per cui gli antibiotici sono fondamentali. Abbiamo riscontrato anche alcuni casi di malaria e tubercolosi.

Quanto è distante la nostra realtà europea?
Moltissimo. I bambini sono sempre in giro da soli, giocano per il villaggio, nelle pozzanghere. Qualcuno va a scuola, altri lavorano, anche se sono ancora molto piccoli. Le condizioni igieniche in cui lavoriamo sono molto precarie: noi, abituati all'iper igiene e alla sterilità degli Ospedali italiani, qui siamo spesso costretti a risparmiare sul disinfettante o a usare gli stessi guanti su diversi pazienti. Sono rimasta molto colpita da come le persone siano abituate a “prendere atto” della sofferenza, hanno una capacità di sopportare il dolore altissima.

Sei riuscita a famigliarizzare con le persone del posto?
Gli abitanti del posto sono culturalmente molto calorosi e accoglienti. Per loro, l'ospite è sacro. Se riescono a farci un piacere sono contentissimi. Una volta abbiamo chiesto se ci fosse un po' di frutta, il giorno dopo si sono presentati con un cesto pieno di mele, arance, banane e papaye. Coltivano verso di noi un infinito rispetto, ci ascoltano sempre, con attenzione.

Conclusa la specialistica, quali sono i tuoi progetti?
Una volta specializzata, vorrei rimanere a lavorare in Italia, pur continuando a fare esperienze di questo tipo. Lavorare qui è occasione di crescita, sia dal punto di vista medico sia e soprattutto dal punto di vista umano. In questi contesti, sono importanti una mentalità aperta e tanta flessibilità che, secondo me, sono qualità fondamentali per i medici del futuro.

SERVONO MEDICINE E DISPOSITIVI: AVVIATA UNA RACCOLTA FONDI
«Con gli altri volontari abbiamo cercato di portare dall’Italia quanti più farmaci e dispositivi medici possibili – spiega Teresa –, ma ora servono aiuti. Abbiamo avviato una raccolta fondi per poter finanziare il trasporto di ulteriore materiale nelle prossime missioni e per supportare la Onlus PratiCare, che opera in tanti altri villaggi africani bisognosi. Ci ritroviamo a centellinare lo sciroppo per i bambini o a negare loro quaderni o palloni per giocare. Ancor peggio, può succedere di non poter curare una parassitosi perché non c’è il farmaco specifico». Tutti sono invitati a contribuire, effettuando una donazione sul conto PayPal dedicato: https://www.paypal.me/MissioneBona2023

«Teresa fa il medico gratis, o i poveri la devono pagare?»
Quando ho raccontato la storia di Teresa a mia figlia Francesca, di 6 anni, mi ha ascoltato senza fiatare, poi mi ha chiesto: «Papà, ma Teresa fa il medico gratis o i poveri la devono pagare?». Alla mia risposta non ha avuto dubbi: «Sarà una dottoressa bravissima».

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