Era nata da un esposto anonimo l’indagine che ha portato a processo quattro titolari di cooperative coinvolte nella gestione dell’accoglienza tra il 2015 e il 2018, con le accuse di sfruttamento della manodopera e frode ai danni dello Stato, per un ammontare di 317 mila euro. Soldi che, secondo la Guardia di Finanza di Mondovì, le tre cooperative, ovvero la Immacolata 1892, Casa dell’Immacolata e Il Tulipano, avrebbero percepito in maniera indebita, segnando più volte le presenze degli stessi immigrati in diversi centri di accoglienza. Il gruppo gestiva, tra gli altri tre CAS a Ceva, uno a Montezemolo, a Bene Vagienna e Belvedere Langhe.
Le varie ipotesi accusatorie sono via via cadute nel corso dell’istruttoria tanto che lo stesso sostituto procuratore Francesco Lucadello le ha ritenute alla fine insussistenti, chiedendo l’assoluzione per tutte le imputazioni. Nelle udienze numerosi testimoni hanno portato alla luce gli aspetti complessi del lavoro svolto dal gruppo di cooperative torinesi, già da tempo attive nel sociale, a cui la stessa Prefettura di Cuneo aveva chiesto aiuto per fronteggiare l’afflusso di richiedenti asilo: «Allora c’è stata un’invasione, oggi è niente in confronto», ha ricordato E. A. il referente dell’intero gruppo. I gestori dei Centri, oltre ai corsi di lingua e alle ore con i mediatori culturali, avevano proposto corsi di informatica, di elicicoltura o di giardinaggio e costruzione a secco, come nel caso di Pietra Ligure. «È emerso che tutti ricevessero il pocket money e ad alcuni veniva data una retribuzione aggiuntiva per lo svolgimento dei corsi», ha confermato il pm, così come a tutti erano garantiti vitto e alloggio, indumenti e prodotti per l’igiene. Quanto al lavoro svolto, «non si sono rilevate prove delle condizioni di sfruttamento che la giurisprudenza pone come indici per dimostrare il caporalato».
«L’elenco delle attività svolte da queste cooperative è impressionante» ha sottolineato anche l’avvocato Vittorio Sommacal, difensore di due degli imputati: a Pietra Ligure, appunto, era stato allestito un corso di costruzione di muri a secco. In quel periodo, ha ricordato il legale, un flusso di circa 3.500 richiedenti asilo in provincia veniva gestito da tre sole persone in Prefettura: «La comunicazione era necessariamente sbrigativa e la normativa emergenziale». Il giudice Giovanni Mocci ha infine assolto tutti gli imputati per insussistenza dei fatti.