Mondovì: c’era un ministro. E adesso?

Costa si dimette e incassa il plauso di tutti, da Renzi a Salvini. L'ex ministro continua a padroneggiare sulla scena. E adesso?

Enrico Costa si è dimesso. Questa è la notizia, ormai vecchia: è accaduto ieri (mercoledì 19 luglio). In tanti dicevano che era solo questione di giorni. Al massimo, di settimane. Invece, è stata questione di ore. Lui stesso lo aveva ormai lasciato intendere - basti leggere le sue parole in questa intervista a L'Unione Monregalese rilasciata appena martedì.

«Non avrò posizioni ambigue», aveva detto. Ha mantenuto la parola. Ieri Costa era il personaggio politico del giorno. Padrone della scena: ha guadagnato attestati di stima da tutti, da Brunetta, a Salvini. Perfino da Renzi: «Il ministro Costa è una persona seria, sono legato a lui da un sentimento di stima». Mica poco.

Il passo fatto mercoledì non è piccolo, non è banale e sicuramente è stato studiato.

Innanzitutto, perché non è così usuale che un ministro molli di propria iniziativa. Senza scandali, senza pressioni, senza ordini, senza crisi. E poi, perché chi fa un passo fuori da un Governo non solo sa quel che lascia: soprattutto, sa quel che trova. E cosa trova Enrico Costa? Trova Berlusconi. Ma forse trova anche molto di più

La "frattura" sullo Ius Soli
Nelle ultime settimane la sua posizione di riavvicinamento all'ex Cavaliere era stata palesata. «Con Berlusconi abbiamo radici comuni», aveva dichiarato pochi giorni fa. Tutto questo all'indomani della sua posizione di contrarietà allo Ius Soli, la legge che riconoscerebbe la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia. Una battaglia su cui il centrodestra "puro", Lega in testa, non ha intenzione di mollare.
«Se Gentiloni mette la fiducia - aveva dichiarato Costa - mi dimetto». Il premier ha confermato che a settembre voterà con la fiducia. Costa ha reagito di conseguenza. E forse ha sempre saputo che sarebbe andata così.

Facciamo due ragionamenti.
Il percorso politico di Enrico Costa è stato tutto a destra, almeno fino al 2014. Nel 2008 era nel PDL, ed è qui che fu relatore del "Lodo Alfano" che - si dice - gli vale tutt'ora la "simpatia illimitata" di Silvio Berlusconi. Poi nel 2013 nasce NCD, e nasce la decisione di cambiare. Perché si comincia a pensare ai "grandi Governio di scopo". Così Costa, in testa al partito alfaniano, molla l'ex cavaliere e nel febbraio 2014 diventa viceministro alla Giustizia nel governo Renzi (ministro Orlando). Costa sarà nominato ministro agli Affari regionali nel febbraio del 2016 da Renzi, e poi riconfermato con Gentiloni.

LEGGI: la nomina sotto Renzi

LEGGI: ancora ministro con Gentiloni

Alle regionali piemontesi del 2014, Costa è candidato alla presidenza della regione per l'NCD arrivando quinto con il 2,98%. Costa non è, insomma, uno che ama le competizioni elettorali. Ama però la scacchiera politica, ed è ormai abbastanza chiaro che è un giocatore abilissimo (a meno che qualcuno non pensi che si posa diventare ministri così, per caso).

Ecco perché ripetiamo: quello di mercoledì non è stato un passo "banale". Costa dichiara di aver lasciato "per coerenza politica" - nella sua lettera di dimissioni a Gentiloni dice testuale: «Non posso far finta di non vedere la schiera di coloro che scorgono un conflitto tra il mio ruolo ed il mio pensiero. E siccome non voglio creare problemi al Governo rinuncio al ruolo e mi tengo il pensiero» -. Ha aperto ai vecchi alleati di Forza Italia (che ora lo accolgono a braccia aperte), ma senza spalancare crisi di Governo.

Costa ha incassato applausi a destra e inviato messaggi a sinistra: «Io non sono un "poltronaro"».
Non è poco. Dimettendosi indicando come ragione "una linea di pensiero", manda a dire agli (ormai ex) alleati di Governo e in particolare del PD: e adesso, chi sono i poltronari? In sostanza, ha ripetuto il gesto del 2013: quando mollò Silvio Berlusconi e, con NCD, prese l'avventura solitaria. Avventura che lo portò a diventare ministro nel febbraio 2016. Oggi, dice ciao anche ad Alfano. E lo fa, in pratica, in mezzo ai complimenti di tutta la scena.
Da Brunetta («In un mondo politico nel quale abbondano i ‘poltronari’ di professione va, senza alcun dubbio, elogiata la coerenza e la linearità di azione dell’amico Costa») a Salvini («Il ministro Costa, a differenza del poltronaro Alfano, si è dimesso. Governo perde voti, perde idee e perde pezzi»). Perfino da Renzi: «Il ministro Costa è una persona seria, sono legato a lui da un sentimento di stima. E' stato coerente ad andarsene nel momento in cui ha detto di voler tornare con Berlusconi. E' uno di quelli per cui le idee sono più importanti della poltrone. Preferisco uno così che gioca pulito piuttosto che quelli che tengono i piedi in due staffe nell'attesa di capire dove andare nella prossima legislatura».

«Non si può essere di centro a tutti i costi»

Apparentemente, la risposta di Costa all'appello di Berlusconi è stata data a tempistiche perfette. Costa si smarca sullo Ius Soli, e non un minuto troppo presto l'ex Cav. (domenica, con una dichiarazione fatta al “Mattino”) ha aperto il dialogo coi vecchi alleati. Il tema: ricostruire un centrodestra "vero", lontano da quelli che Costa ha definito - con un'espressione incredibile, mai sentita prima nella politica - "estremismi di centro". «Non si può essere centristi a tutti i costi», ha dichiarato l'ex ministro. Insomma, va tutto bene ma non va bene tutto. Lo Ius Soli, per esempio, non va bene. Guarda caso, proprio quello.
Parole di Costa: «L’alleanza a Roma era fatta per garantire un governo al Paese in un momento di difficoltà. Abbiamo sempre detto che non era una posizione politica ma programmatica». Ora quella posizione non regge più: «Non possiamo assumerci la responsabilità di portare via al Centrodestra quei 25 mila voti che potrebbero far la differenza e farlo perdere».

E adesso?
Ora, saremo dietrologi ma – così come crediamo che uno non diventi ministro "per caso – non riusciamo proprio a credere che un ministro si dimetta così, senza una chiar(issim)a idea di cosa fare domani. E per domani intendiamo: nei prossimi sette-otto mesi che separano questo esecutivo dalle elezioni 2018. Un periodo troppo lungo per impegnarlo a "non fare nulla", soprattutto quando a destra si sta discutendo così intensamente sulla figura centrale, quando esistono ampissimi spazi per muoversi e quando forse esiste la possibilità che Gentiloni non passi il vallo dello Ius Soli. Allora servirà un "governo di scopo" diverso, questa volta ben visto da Forza Italia. E qui, forse Enrico Costa ci ha già visto lunghissimo.

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