Ieri il futuro sembrava piuttosto ateo, oggi invece…

Il cosiddetto “sguardo secolare” può aiutare a convivere nel pluralismo pure religioso, a coltivare una conciliare libertà religiosa, a trovare nella umanità condivisa il comun denominatore che ci fa componenti di una comunità

Se può servire, potrei anche rifarmi a ricordi personali, quando nella mia giovinezza di studi (ormai oltre quarant’anni fa, ahimè) di pungolante attualità era la questione dell’ateismo, come punta di un iceberg più allargato e profondo immaginato come secolarismo nella versione più esasperata o come secolarizzazione nell’accezione più conciliante. Il cenno personale solo per ribadire il grosso cambio di passo che si è verificato su terreni diversi, strada facendo. In particolare nell’inizio terzo millennio. Non si può dar torto al sociologo 88enne, austriaco ma statunitense di formazione e residenza, Peter L. Berger, che intervistato da “Avvenire” ha ripercorso i suoi anni spesi nel cambiare idea, cioè nell’avvertire che non era così vero, come si credeva decenni orsono, che “a più modernità sarebbe corrisposta meno religione”. Infatti a guardarsi attorno, a parte l’Occidente europeo, non è che la secolarizzazione e la conseguente laicità godano di tanta platea. Non è solo l’Islam a tenere banco, per svariate ragioni. Ma il tasso di religiosità non sta regredendo. Eppure, con grande rispetto, anche facendo tesoro del percorso in cui la Chiesa cattolica si è impegnata coraggiosamente in questo mezzo secolo, dopo il Concilio che ha cambiato le carte in tavola nel rapporto con il “saeculum”, in cui stare con amore, dedizione, comprensione, tolleranza, gratitudine e non a cui contrapporsi quasi per partito preso, qualche riflessione pacata va fatta. D’altronde il cosiddetto “sguardo secolare” può aiutare a convivere nel pluralismo pure religioso, a coltivare una conciliare libertà religiosa, a trovare nella umanità condivisa il comun denominatore che ci fa componenti di una comunità e non induriti competitor di una giungla. Quindi un bagno “secolare” può davvero purificare. Ed è augurabile a tutti, a cominciare dall’Islam che su questo fronte fa maggiormente fatica. Emblematico l’esempio, alla portata di tutti, che il sociologo Berger fa nell’intervista ad Alessandro Zaccuri su “Avvenire” in occasione del libro “I molti altari della modernità” (traduzione di Mario Mansuelli, Emi, pagine 208, euro 19), citando un… ospedale, cioè ricordando come in un nosocomio, anche “nel caso di un ente di ispirazione religiosa, il processo di diagnosi e di cura avviene secondo un protocollo rigorosamente scientifico. Del tutto secolarizzato, si potrebbe dire. Ma questo non impedisce che in un ospedale si preghi, si legga la Bibbia, si cerchi il conforto del cappellano”. Già, sembra una ovvietà. Ma può servire proprio per allargare lo sguardo, per uscire da pregiudizi, per credere nell’esperienza religiosa che sta dentro la laicità e la secolarizzazione, a testa alta e con un sentire umile, senza rimpianti ma con profezia e gioia da credenti sul campo, tra tutti.

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