Le ferite invisibili nelle storie dei migranti fra noi

Intervento di Germano Garatto (impegnato con “Migrantes” a Lampedusa), all’incontro di Quaresima al Santuario

Praticamente una vita spesa al fianco dei migranti quella di Germano Garatto, a cominciare da Genova a fine anni ’80 con Caritas e “Migrantes” a farsi carico dei mozzi scaricati dai mercantili al porto ed a occuparsi dei tanti giovani che giungevano dal Marocco bypassando le frontiere con la Francia (Paese allora chiuso a questi ingressi), quindi un paio di decenni consumati nella formazione di chi si occupa del fenomeno migratorio in tutti i suoi risvolti di umanità ferita. E poi per Germano Garatto un passo ulteriore dentro queste realtà tribolate quando nel 2012 fu chiamato da mons. Perego, allora in Migrantes ed oggi arcivescovo di Ferrara, a provare a sondare un’esperienza formidabile vissuta dalla popolazione di Lampedusa, l’anno precedente, quando dalla Tunisia – con la caduta del regime di ben Alì – giunsero in poco tempo diecimila giovani tunisini in fuga, per i quali il Governo italiano Berlusconi-Maroni per 55 giorni negò ogni approdo in Sicilia. E in quei quasi due mesi i lampedusani, che sono seimila residenti, fecero il miracolo di accogliere in tutti i modi questi profughi, finchè il Governo cedette e consentì a quei tunisini di avviarsi in Europa. “Migrantes” voleva capire come fossero riusciti i lampedusani a farsi così accoglienti, senza riserve. Il segreto, se così si può chiamare, per questo atteggiamento si è scoperto subito: “E se fossero stati i nostri figli a trovarsi in quelle pensose condizioni?”. Già, una consapevolezza che è stata decisiva per mettersi in gioco fino in fondo. Non per nulla Garatto ha esternato la sua convinzione, per cui l’unica cosa da fare a Lampedusa allora è stata quella di “aiutare i lampedusani a rimanere umani”.

E’ partito da questi tratti autobiografici Germano Garatto venerdì scorso in Casa “Regina” al Santuario, nel primo degli incontri quaresimali per misurarsi sulle urgenze degli ultimi tra noi. Così ci si è approcciati a progetti importanti e mirati, come quello intitolato “Il viaggio della vita” per accompagnare, nel corso di un decennio, ragazzi, genitori, Associazioni… a Lampedusa dentro l’emergenza migranti, dando forza alla capacità di non aver paura, assumendo l’attitudine del dialogo, dentro contesti interculturali, con lo sguardo sulla mondialità. Ora non si possono più incontrare i migranti che vengono sbarcati a Lampedusa, ha spiegato Germano Garatto. “E’ consentito dare un benvenuto con una bevanda, un biscotto, un abbraccio sul molto…. Poi tutta quella umanità sofferente finisce nel campo profughi, dentro logiche che ci escludono”.

Ora Germano Garatto è impegnato in una esperienza denominata “Re-agire con i migranti”, formando le persone che stanno vicine ai profughi, alleggerendo il peso di traumi subiti con un accompagnamento anche psicologico e legale, per situazioni spesso gravi di emarginazione.

“Cosa ho imparato in questi anni su queste frontiere di umanità (e di disumanità)?”.  “Beh, sono stato interpellato dalle condizioni dei migranti, in particolare da quelle ferite invisibili, da quelle sofferenze nascoste di cui spesso non c’è avvertenza – la sua risposta –, a cominciare dalla delusione e dalla prostrazione di chi è partito convinto di potercela fare, di essere forte in questa avventura migratoria, mettendoci anche risorse economiche dalla famiglia d’origine, avendo la responsabilità dei propri cari rimasti al Paese. Ma quando si arriva, la realtà è tutt’altra, patendo una retrocessione sociale che logora ed abbatte. Dovendo fare i conti con la lingua poco nota, con la scarsa conoscenza delle dinamiche del Paese di approdo, con l’assenza di reti sociali e con mancanza di punti di riferimento. E poi giocano altri fattori esterni: la superiorità che si mostra verso gli stranieri, la convinzione che qui non è casa loro, il pregiudizio per cui non si avrebbero stessi diritti e stessi doveri. Risalendo quindi ai legami familiari, ai ricongiungimenti, ai figli adolescenti, all’integrazione problematica…”.

Su tutto, poi, la situazione all’ordine del giorno per una politica di chiusura, con trovate senza senso come quella delle strutture di primo approdo finanziate e sbandierate dall’Italia in Albania. Ma resta il clima culturale e sociale da ricostruire, partendo dalla dignità di tutti e di ciascuno, in particolare quando si è condizioni di fatica pesante, come si può leggere negli occhi di tanti migranti delusi, scoraggiati e in ansia.

Prossimo incontro, con Sergio Durando, “Migrantes”

Prossimo incontro di Quaresima, giovedì 14 marzo, ore 20,30, sempre in Casa “Regina” al Santuario, con Sergio durando, responsabile “Migrantes” della diocesi di Torino

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