Il “martire” e il “kamikaze”: non si faccia confusione

    Enzo Bianchi, il priore di Bose, si è soffermato con franchezza e lucidità su quanto è avvenuto nella storia delle Chiese e su quanto avviene tutt’oggi in almeno 25 Paesi, a fronte della possibilità di finire ammazzati in ragione della propria fede cristiana

    Ne ha scritto su due quotidiani (“la Repubblica” ed “Avvenire”) il giorno stesso della scorsa settimana in cui si apriva, nel Monastero di Bose, il Convegno ecumenico su “Martirio e Comunione”, con interventi autorevoli di figure del mondo cattolico ed ortodosso. E così Enzo Bianchi, il priore di Bose, che ha aperto i lavori di questa significativa assise, si è soffermato con franchezza e lucidità su quanto è avvenuto nella storia delle Chiese e su quanto avviene tutt’oggi in almeno 25 Paesi, a fronte della possibilità di finire ammazzati in ragione della propria fede cristiana, diventando – con questo sangue versato – “seme” di comunione tra le varie confessioni cristiane, interpellati da una testimonianza radicalmente evangelica che non conosce confini anzi che li supera e li azzera, soprattutto sul piano religioso. Enzo Bianchi invita alla massima attenzione, quando ci si misura col martirio. Intanto perchè si risale a Gesù Cristo il giusto, che “in un mondo ingiusto può solo essere rigettato, perseguitato, messo a morte (e questa è una ‘necessità umana’), ma anche perché il giusto, se compie con perseveranza la volontà di Dio e non cede alla tentazione del male, finisce per essere destinatario della violenza umana. Secondo questo annuncio è avvenuta la morte di Gesù, che fu condannato innanzitutto dalla legittima autorità religiosa – i sacerdote sadducei – e perciò dichiarato maledetto, scomunicato, e di conseguenza consegnato al potere totalitario romano perché subisse una morte ignominiosa, la morte in croce. Per questo il Nuovo Testamento chiama Gesù ‘martus’, il ‘testimone’ di Dio per eccellenza, fedele fino alla morte”. (‘Avvenire’). Ai primi discepoli una sorte simile è stata riservata in misura crescente, sulla scia del maestro. Ma c’è da scavare in questo gesto. Ed Enzo Bianchi lo fa andando in profondità, anche perché non ci si confonda, in tempi in cui ci si fa esplodere per ammazzare innocenti, uccidendo se stessi e facendo leva sulla medesima parola “martire”, appunto. “Il martire cristiano, infatti – spiega su ‘Avvenire’ –, non progetta il martirio come disegno umano, non cerca la morte gloriosa per darsi un’importanza e una notorietà mai avuta prima, non asseconda una brama di morte, né si incammina verso la morte con sentimenti contro qualcuno, fosse anche il suo persecutore. Il martire cristiano è una persona che ama la vita e ama vivere, non disprezza la terra né tutto ciò che la vita può dargli, crede sì alla vita eterna ma non aliena nell’aldilà la vita presente e per questo accoglie la persecuzione e il martiro come una prova da cui vorrebbe essere liberato, ma che accetta nella sequela del suo Signore Gesù. Questo suo morire è coerente con la vita vissuta e l’atto con cui consegna la vita non è mai contro l’altro, contro un nemico, un malvagio: è un gesto posto affinchè si interrompa la violenza, appaia la verità e non regni la menzogna, affinchè l’amore sia più forte dell’odio”. Ovvio – aggiunge Enzo Bianchi – che non si può strumentalizzare l’idea di martirio per “autoproclamarsi vittime o per inventarsi un nemico da combattere”. Invece si pone come un’esperienza che attraversa le varie Chiese cristiane, rendendole “testimonianza” totale del Vangelo, senza più differenze nel patrimonio di fede. Il martirio è un passo avanti, senza scampo. Aldilà di ogni diversità teologica. Ed Ezo Bianchi, su “la Repubblica” cita i martiri degli ultimi decenni da Dietrich Bonhoeffer a mons. Oscar Arnulfo Romero, a don Pino Puglisi, a Massimiliano Kolbe, a Salvo d’Acquisto… senza trascurare l’apprezzamento ammirato per chi ha sacrificato la vita per ideali di libertà e di giustizia… Tutti coloro che, pagando di persona, hanno cercato di cambiare in meglio questo nostro mondo… sono punti-luce nelle nebbie di una umanità spesso smarrita. Insomma, chapeau. Ma anche un messaggio forte per non appiattirsi mai.

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