Da Jesus and Mary Chain a Soulwax: il “peso del rumore”

ToDays Festival “Day by Day” - il festival vissuto dall'interno, parte II. Nella seconda serata del ToDays festival seguiti i live di Francesco Motta, Jesus and Mary Chain, iCani e Soulwax

Il rumore che si crea attorno alla musica non sempre risponde e corrisponde al suono prodotto: questo potrebbe essere il fil rouge, e commento, in calce al secondo giorno di live del ToDays Festival di Torino.
Troppo spesso ci si è ritrovati a parlare degli anni ’80 come di uno dei periodi più negativi e “finti” della storia della musica, fatto di luci fluo, di collant e jeans strappati, di moda, e forma, più che di sostanza. Forse è pure vero, ma se ci si sforza di dare una giusta misura e si considera una fetta più ampia (perciò più rappresentativa) di quel panorama, si potrà vedere che in realtà una buona fetta della musica che oggi ascoltiamo poggia le radici proprio in quegli anni. Lo racconta Motta che – dopo l’ottima impressione al Nuvolari di Cuneo – si conferma con un set intenso, che esprime tutte le sue potenzialità, e che in apertura racconta quanto, chi gli seguirà, ha influenzato la sua musica ed è stato uno dei gruppi preferiti.
Capita così che quando salgono sul palco Jesus and Mary Chain, tutto il rock più disturbato e rumoroso sia lì, sul palco con loro, nella memoria, a seguire. Ed è strano da sentire, in live: ho l'occasione di vederli, a Torino, almeno dal 1985 (ma a quei tempi chi scrive non frequentava ancora i concerti). Così come è strano ascoltare quella che, all'orecchio dell'ascoltatore amante della new wave, viene vista come la degna conclusione di un'evoluzione aperta dai Cure, diventare più acida e brulicante di sonorità elettriche e fare anche lei da apripista a quello che sarà la successiva versione, in salsa decisamente pop, di gente come Pulp, Blur e Oasis, così come, su un altro versante insieme ai conterranei My Bloody Valentine, segnare e dare il via a un genere per band come i Mogwai e tutta la deriva noise/shoegaze. Nel live dello sPAZIO 211 lo si percepisce, anche se la qualità del suono non è forse delle migliori, a causa di qualche piccolo problema tecnico che rende la prima metà del live più difficolosa. Quando la band riesce poi a settarsi i suoni cominciano ad arrivare come delle stilettate e la voce di Jim Reid acquisisce maggiore sicurezza, il concerto entra nel vivo e Just Like Honey, primo pezzo degli encore, ne è un po’ – come ci si poteva attendere – la ciliegina sulla torta.
Il tempo di riprendersi dalla profusione di suoni degli scozzesi che ci si tuffa nel tunnel dell’ex INCET dove parte il secondo blocco della serata: sul palco a salire sono iCani, la (oramai) band guidata da Nicolò Contessa. Poca gente, forse, rispetto a quanta ce ne sarebbe potuta immaginare, rispetto anche alla sera precedente quando sul palco è salito Carpenter (oggetto misterioso, almeno in live, e sicuramente per un pubblico, almeno a priori, più di nicchia) e rispetto al "rumore" che si è portato con sé nel panorama italiano. A volte le cose vanno così, il pop non sempre riesce ad essere pop. Ne iCani il progetto è studiato, nei minimi dettagli, con cura, per non essere banale, per parlare ad un pubblico giovane facendo un pop “intelligente”, non merce di scambio, ma pensato. Il progetto però, live, non convince fino in fondo: se nel disco alcuni passaggi riescono nel loro intento risultando gradevoli e ascoltabili, in live questa tensione ha meno mordente, o per lo meno attira meno l’attenzione; si finisce con il concentrarsi di più sugli sguardi del pubblico attento e con lo studiare le emozioni altrui, anziché concentrarsi sulle (ahimè poche) proprie.
Chi invece convince e molto è il set “total white and total black” dei Soulwax. Nel 2008 la band ospite al Traffic Festival al Parco della Pellerina era stata una mezza delusione. Nella cornice dell’ex INCET, il discorso cambia radicalmente e risulta decisamente più godibile. Total White e Total Black perché difficile definirlo B&W: bianco e nero dà l'idea di qualcosa di “spento”, o per lo meno di “meditativo”, il set dei soulwax invece è una rasoiata di istinto e di istinti, tre batterie che si danno il cambio, suonano sugli stessi ritmi o si dividono i compiti, che suonano “dritte” o le cui frequenze vengono calibrate e riconvertite dalle macchine condotte dai fratelli Dewaelle. Non c’è margine di manovra, i pezzi arrivano tutti insieme, uno attaccato all’altro, il pubblico si riaffaccia, molto più convinto al palco, il “rumore” delle batterie tambureggia, spiazza la platea, la coinvolge e la conduce nel cuore della notte per la sua parte conclusiva nel Varvara Festival.

LE FOTO PRINCIPALI DELLA SECONDA SERATA

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