Dal manicomio di Partenope, Luché

    la cena polemica #12. Hardcore rap un po’ melò

    L’impatto artistico di Luché non riguarda solo la sua musica, ma tutto il personaggio, come spesso accade nel contesto della musica rap. Il suo inizio è insieme a ‘Nto nel collettivo dei Co’Sang, da Marianella, quartiere di Napoli Nord. I Co’Sang rappavano completamente in dialetto, parlando un idioma il più possibile vicino alle persone comuni, di strada (vd. “’Int’o Rione”). Recentemente alcuni loro brani sono stati usati per sonorizzare la serie Gomorra. Conclusa la collaborazione con ‘Nto, Luchè intraprende una carriera solista che lo vede impegnato in due lavori rispettivamente chiamati L1 e L2, all’interno dei quali si esprime in italiano. Definire il suo stile vuol dire fare i conti con la sua provenienza partenopea, con l’orgoglio e il senso di rivalsa di chi cresce in contesti degradati (Marianella appunto) e abbia trovato una strada, quella artistica, per allontanarsene. La sua scrittura da un lato rivendica l’appartenenza, quando parla di dinamiche mafiose, vita di strada nei quartieri bassi di Napoli, relazioni di fratellanza con amici e in generale la sua vita “esteriore”; dall’altro, poi, si apre a un’intimità e alla “vita interiore” con una consapevolezza totale, carnale, come solo un napoletano potrebbe fare in musica. In questo si riconosce forte l’influenza sotterranea del genere neo-melodico, incentrato sulle dinamiche affettive, sull’intimità, forse il sotto-genere più melodrammatico della musica italiana. Quando Luchè parla di affetto e relazioni, lo fa con il cuore a nudo, usando termini forti, appropriati, non nascondendosi dietro a una maschera di orgoglio come fanno molti altri. In questo senso è drammaticamente commovente e unico sulla scena (per un ascolto: Non Credo Più, insieme a Corrado, oppure Non Immaginerò, entrambi su L2). A riguardo dell’impatto di Luchè, come si diceva, è di tipo “visivo”: usa tantissime metafore potenti, soprattutto su L1, ti porta a immaginare situazioni molto precise. Lui stesso è appariscente, molto “americano” come approccio e attitudine: ha scelto consapevolmente la direzione dell’ostentare per affermare – per converso – la sua radice povera, sottoproletaria; lo esplicita bene nella bellissima e recente intervista all’interno del format “Down with Bassi”. L1 e L2 vanno ascoltati per approcciare la ricca e intensa scena rap napoletana, che esprime una visione molto umana della realtà ed è perfettamente incastrata nel suo contesto, la città di Napoli (o “il manicomio di Partenope”). Pezzi da ascoltare, oltre a quelli già citati: La Transizione, Dimmi Che Mi Capirai, La Risposta, Lieto Fine.

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