TRIVELLE: «Al referendum votate NO»: intervista a Davide Tabarelli

«La verità è che questo referendum non serve a nulla: da anni siamo sulla strada giusta per ridurre l’inquinamento». 

INTERVISTE AGLI ESPERTI:
Luca Mercalli ("Sì")
Davide Tabarelli ("No") 

«La verità è che questo referendum non serve a nulla: da anni siamo sulla strada giusta per ridurre l’inquinamento». Davide Tabarelli è uno dei massimi esperti del settore energetico in Italia. è il presidente Nomisma Energia, società di ricerca sull’energia e l’ambiente. Ha come responsabile di ricerca di numerosi progetti riguardanti l’industria energetica sia nazionale che internazionale, ha collaborato col Ministero dell’Industria per le liberalizzazioni e del Ministero dell’Ambiente per le politiche energetiche e ambientali, è stato membro di Commissioni ministeriali per la politica energetica.

Dott. Tabarelli, il “fronte del no” dice che comunque non siamo ancora pronti a fare a meno degli idrocarburi. Va bene: ma non pensa che da qualche parte si debba cominciare?
«Certamente si deve cominciare da qualche parte… ma non da qui e non così. Anzi, per essere precisi abbiamo cominciato da un pezzo: oggi l’Italia investe 6 miliardi per incentivare l’energia fotovoltaica, 13 miliardi in tutto per l’intero settore delle rinnovabili. Questo referendum invece non serve a nulla se non a danneggiarci. Non è questa l’occasione per fare una svolta».

Lei non pensa che il recente scandalo politico ci ha dimostrato che c’è “qualcosa non funziona” nel sistema delle concessioni? Non è il momento di dare un segnale?
«Sono cose separate. Lo scandalo di Viggiano parte da un problema ambientale, di smaltimento, e non di concessioni. Sottoterra abbiamo oro nero e gas: se eliminiamo le perforazioni, eliminiamo una risorsa per il Paese. Che poi ci sia “qualcosa che non va”, come ha detto lei… è tipico dell’Italia: ma questo non ha nulla a che vedere con questo referendum».

Si dice che le piattaforme sono sicure: va bene. Ma è un dato di fatto che, anche solo per un principio numerico, riducendo il numero di piattaforme si ridurrebbe anche il rischio incidenti e di conseguenza dei danni ambientali. Non è un bene?
«Ah, certo… eliminandole tutte, lo si riduce ancora di più. Il passo fondamentale per ridurre i rischi lo si è fatto già nel 2010, quando (all’indomani dell’incidente della piattaforma nel Golfo del Messico, ndr) si è deciso di non aprire nuovi progetti nelle 12 miglia dalla costa. Sulla strada per la maggiore sicurezza, di fatto, ci siamo già. E ora si vuole chiudere ancora di più? La verità è che se fossimo in un Paese normale, dove non esistono conflitti tra Regioni e Governo, non saremmo a parlare di questo».

L’Italia è chiamata a fare una scelta che guarda al futuro, non al presente. Facciamo finta che vinca il “no” (o che non passi il quorum)… ma poi, fra 5 o 10 anni, tutta Europa prenda la scelta che l’Italia non ha preso oggi. Non avremmo perso l’opportunità, per una volta, di essere i precursori? Detto in altri termini: visto che si ragiona sul futuro, non è il momento giusto per cambiare strada?
«Non può funzionare così. Siamo realisti: l’Europa avrà ancora bisogno di gas per i prossimi 40 anni. Pensiamo di dover dare un segnale da primi della classe sulle rinnovabili? Lo stiamo già facendo: siamo i primi nel fotovoltaico, produciamo più idroelettrico che Francia e Germania. La verità è che quando abbiamo dato quel segnale abbandonando il nucleare… siamo finiti a comprare dalla Francia 3 miliardi di euro di energia prodotta da nucleare».

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