Lucio Dalla: un autoritratto (per nulla) inconsapevole – Intervista a Jacopo Tomatis

Il giornalista e docente universitario monregalese ha curato, per i tipi del "Saggiatore" una biografia di Lucio Dalla attraverso una selezione di 60 interviste

lucio dalla jacopo tomatis

Jazz, Opera lirica, Canzone d’autore, Musical, televisione, cinema, teatro… Lucio Dalla era questo e altro ancora. Per ciascuno di questi ambiti proponeva un volto diverso, una voce diversa, una diversa declinazione di sé stesso. Un uomo dal multiforme ingegno, tanto geniale quanto inafferrabile. Nel 2012 quando la notizia della sua morte colpì la musica italiana davvero come un fulmine a ciel sereno, si è scatenata una vera e propria riscoperta della sua opera oceanica. C’è davvero tanto, per un giovane che non lo ha mai conosciuto, da scoprire, oltre “4 marzo 1943”, “Anna e Marco”, “Se io fossi un angelo”, “Piazza Grande” e gli altri capolavori pop, che ancora oggi sono amatissimi e suonatissimi. C’è tanto da scoprire sia sul personaggio Dalla, eccentrico e camaleontico che sull’artista e musicista. Per questi ultimi ambiti può sicuramente essere un buon viatico l’ultimo lavoro di Jacopo Tomatis, la curatela per “Il Saggiatore” del volume “E ricomincia il canto”, una raccolta di sessanta interviste rilasciate da Lucio Dalla nel corso della sua lunga carriera. Un lavoro monumentale di selezione, perché Dalla era un tipo loquace, e di interviste nella sua lunga carriera ne ha rilasciate tantissime, spesso parlando di temi molto diversi. Il format di una biografia per interviste non è nuovo al “Saggiatore” che ne ha già realizzata una su David Bowie (“Sono l’uomo delle stelle”) e Leonard Cohen (“Il modo di dire addio”), ma un lavoro simile su Dalla presenta sicuramente una sfida del tutto particolare. Ce lo spiega benissimo il curatore, Tomatis, autore anche del saggio introduttivo, che compendia il volume, in uscita dal 4 febbraio.

Come è nato questo progetto e che tipo di sfida ha rappresentato per te?

È stato un lavoro lungo e complesso che mi ha preso tanto tempo. È stata la casa editrice a propormi questo libro, loro ne avevano già realizzati due con questo particolare format. Mi sembra un buon modo di approcciarsi al musicista, senza il filtro critico di un saggista. È un tipo di lettura diverso, più leggero e per certi versi più appassionante, che va inevitabilmente a aprire più finestre sul privato, sul personale. La cosa interessante è che il personaggio in questo modo si autorappresenta: con un artista come Dalla è tanto più interessante, perché si va da momenti di cazzeggio puro, in cui gioca a spiazzare l’intervistatore, in cui si inventa aneddoti, ad altri più seri. Credo che al di là dell’interesse per Dalla molte di queste interviste si leggono bene perché sono estremamente divertenti: sono interviste brevi, o pezzi scritti direttamente da lui.

Ci possiamo fidare di un istrione come Lucio Dalla?

Assolutamente no: l’immagine che ne viene fuori non è quella del “vero” Lucio Dalla ed è proprio questo il bello. C’è la voglia di rappresentarsi in maniera diversa, di far passare una certa immagine di sé, che cambia nel tempo. Le interviste vanno dal 1966 fino all’anno della sua morte e leggendole ci si rende conto che spesso si contraddice, che da un’intervista all’altra troviamo risposte opposte alle stesse domande. C’è molta attenzione al fatto di stupire l’interlocutore: è come se fosse un esercizio di stile, di improvvisazione. Quando mi hanno proposto di occuparmi di Lucio Dalla ho accettato con entusiasmo: io mi occupo principalmente di pop e lui ne era l’essenza.

Ha spaziato in tantissimi ambiti diversi, con una versatilità straordinaria...

Era uno che non ha mai avuto il timore di “sporcarsi le mani”: rispetto ad altri musicisti non ha mai avuto timore di andare verso il basso. Era capace di fare un pezzo con Roversi e il brano da classifica; la serata jazz e il programma televisivo con Sabrina Ferilli in prima serata. Queste interviste raccontano proprio questo: la voglia di arrivare a più persone possibili

Molta varietà musicale, ma ha sempre avuto uno stile inconfondibile: secondo te qual era il segreto del suo sound?

Intanto anche qui la capacità di aggiornarsi in continuazione: è uno che ha sempre seguito il suono internazionale, quello che andava per la maggiore in quel momento. Altri cantautori, come De Andrè, spesso imponevano il loro suono, precorrevano i tempi. Lui è sempre stato attento a stare sul pezzo. Poi aveva una capacità straordinaria di appoggiare qualunque tipo di verso sul ritmo, di cantare l’incantabile ed essere molto melodico nel farlo. Gli derivava da una fase di formazione in cui era costretto a cantare cose fuori da ogni metrica. Arriva a fare pezzi a volte con al massimo uno o due accordi, su cui lui accumula immagini potenti e suggestive

Una sorta di canto derivato dall’improvvisazione jazz, che era un altro dei suoi mondi...

Se leggi i resoconti dei suoi parolieri, come Sergio Bardotti o Paola Pallottino, il loro lavoro spesso consisteva nel mettere in metrica i testi sulle melodie che proponeva. Loro cercavano di ricondurre il materiale alla forma canzone. Poi a un certo punto lui ha sperimentato, ha cercato di fare canzoni con strutture molto più libere. Non sempre ci azzeccava, ma quando ci azzeccava era favoloso.

Forse l’unico cantautore italiano che ha spaziato in così tanti ambiti è Franco Battiato, anche lui passato per forme d’arte diverse e dall’avanguardia al pop.

Sicuramente sì, ma appunto cambia molto l’atteggiamento: anche Battiato sa essere pop e sa essere autoironico, ma lo fa sempre un po’ ammiccando. Lui è chiaramente l’emblema del cantautore artista nella sua torre d’avorio, che talvolta si diverte. Dalla invece non aveva alcuna remora a mischiare alto e basso in un unico calderone.

La sua morte ha scatenato un affetto popolare straordinario, vivo ancora oggi.

In tanti anni ha cambiato tante volte la sua proposta, ed ha raggiunto tanti tipi di ascoltatore diverso. Il fatto è che ciascuno ha il “suo” Dalla: c’è chi lo preferisce avanguardista, chi beat, chi ama il Dalla jazz, chi è cresciuto con “Attenti al lupo” o “Canzone” in radio. Così alla fine la fetta di pubblico che lo ama, in qualche declinazione, è davvero sterminata

Il tuo “Dalla” qual è?

È quello beat, solitamente poco considerato ma favoloso. Il Dalla di “Quand’ero soldato”, che andava dal pop all’avanguardia. Il Dalla che scrive con Roberto Roversi “Anidride Carbonica”, “Il giorno ha cinque teste”, “Automobili”. Sono affascinanti i suoi inizi. Fa un po’ di pezzi soul, poi vira sul beat. Fa alcuni pezzi che si ispirano al soul, alla black music della Motown, un repertorio ancora adesso delizioso da riscoprire.

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