Alpini: niente corteo per l’anniversario di Nowo-Postojalowka, domani la messa

È sempre stato un appuntamento solenne, pensato per celebrare un momento tragico della storia delle Penne nere: l'anniversario della battaglia di Nowo Postojalowka. Il più grande sacrificio che la Divisione Cuneense abbia mai pagato in termini di vite umane. Ma questa volta non si potrà fare: la Sezione ANA di Mondovì ha ufficialmente deciso di annullare la manifestazione nazionale solenne del 15-16-17 gennaio 2021 a ricordo della campagna di Russia e di Nowo Postojalowka. Domenica 17 gennaio le Penne nere ricorderanno i caduti alle 11 con la messa presso la parrocchia del Sacro Cuore all’Altipiano.

«Il ricordo dei nostri caduti in terra di Russia sarà evidenziato come da tradizione – spiega il presidente della Sezione ANA Mondovì, Gianpiero Gazzano –. Il ritrovo è previsto per le ore 10,30 presso il piazzale antistante la chiesa. Sarà un momento di ricordo dedicato anche ai tanti Alpini e soci aggregati che sono “andati avanti”, come noi diciamo, nel secondo periodo Covid-19. Un momento di preghiera e riflessione ma soprattutto nei limiti del possibile di ritrovo con le rappresentanze dei nostri Gruppi. L’invito alla partecipazione è rivolto alle Associazioni d’Arma e a quanti desiderino partecipare. Data e termini indicati, possono subire modifiche a seguito di prescrizioni o limitazioni derivanti da leggi ed ordinanze emesse dagli organismi istituzionali in relazione all’evoluzione della pandemia in atto. Ogni variazione verrà quindi comunicata, per quanto possibile con debito anticipo».

Gennaio 1943

LA STORIA
DELLA BATTAGLIA

alpini nowo postolajowka

Il calvario dei nostri Alpini nel gelo della Russia invasa
Gennaio ‘43: il sacrificio della Cuneense a Nowo-Postoialowka, nella ritirata, nella lunga prigionia
di ERNESTO BILLÒ

Dopo la guerra alla Francia, breve ma pagata con morti e assiderati nell’inattesa tormenta del giugno 1940, le Penne Nere erano state inviate nel fango dell’Albania, della Jugoslavia, della Grecia; poi nel’estate ‘42, nella Russia sconfinata in appoggio ai tedeschi e alle Divisioni del nostro CSIR già impegnate laggiù. Preparativi frettolosi, sgomento e lacrime alle partenze delle tradotte attraverso la desolazione di Austria e Polonia. Infine la Russia, un altro mondo. Per la Cuneense, la Julia e la Tridentina non i monti del Caucaso ma marce sfiancanti verso il Don. Attacchi già in agosto; a ottobre in lotta con la neve, i topi, i pidocchi, la fame. Primi congelamenti e attacchi ardui da ricacciare coi vecchi fucili ‘91. Un fronte di 75 chilometri da presidiare e tanta nostalgia per la casa lontana. A metà dicembre, azioni russe in profondità; primi cedimenti e rischi d’accerchiamento. In prima linea, il Battaglione “Pieve” e la batteria “Villanova”.

A Natale, reparti del Mondovì, del Ceva, del Saluzzo sotto attacco, mentre ripiegano i tedeschi che sono con loro. Il 15 gennaio ‘43 i carri armati russi puntano su Rossosch, e il comando deve spostarsi a Postojaly, mentre i duemila uomini rimasti a Rossosch col gen. Martinat sono cannoneggiati. I “complementi” della Cuneense perdono 600 uomini; la Julia, provata, ha l’ordine di ritirarsi verso nord est. Ripiegamento per tutti il giorno 17 gennaio. Nella rotta, confusione, inciampi d’autocarri a secco di carburante, rifornimenti impossibili, zaini abbandonati. Nel buio e nel vento gelido la Cuneense punta su Popowka sperando di raggiungere Waluiki prima di trovare la strada sbarrata. Ma dalle isbe intorno al villaggio di Novo Postojalowka sbucano bocche di cannoni che sparano colpi micidiali falcidiando vari reparti. Scarsa la copertura dall’artiglieria. Allora, strisciando nella neve, gli Alpini raggiungono i margini dell’abitato e si lanciano allo scoperto contro i carri. Molti di loro cadono o sono catturati.

Il col. Manfredi del “Mondovì”, il gen. Battisti e poi il gen. Ricagno della “Julia” chiedono appoggi per aprire un varco prima che ai russi arrivino rinforzi; non ne ottengono, e lanciano un assalto disperato al paese sotto un fuoco intenso. Si lotta fra le case, e tra i caduti c’è il maggiore Trovato del “Mondovì”, subito sostituito dal cap. Ponzinibio. I carri russi avanzano implacabili. Avenanti, ferito, in testa ai superstiti del “Ceva” si lancia contro un carro con pistola e bomba a mano, e tutti lottano anche all’arma bianca. I russi si asserragliano nel paese, e gli Alpini non passano. Allora il gen. Battisti ordina a Manfredi di bruciare la bandiera del “Mondovì” perche non cada in mano nemica. Nella neve, morti, feriti, relittti.

A sera la battaglia si spegne per esaurimento. La Cuneense, più che dimezzata, riceve l’ordine di “sganciarsi dalla morsa”. Come? Tentando d’aggirare nel buio il villaggio per puntare su Postojali, sperando che intanto sia stata liberata dalla “Tridentina”. Ma si devono abbandonare feriti e congelati tra gemiti e invocazioni che feriscono più dei colpi. La marcia riprende in silenzio con nuove gravi perdite. Dalla morsa si esce, ma non è ancora finita. Prima della resa a Waluiki, il 29 gennaio, altre traversie e altri lutti, pure tra i capi: il gen. Martinat, i monregalesi cap. Mario Battaglia, il cap. Giovanni Costamagna, già podestà di Mondovì e presidente del Cai; il col. Manfredi, intrepido trascinatore.

12.575 i caduti e i dispersi della Cuneense; 4.548 quelli del I Reggimento Alpini. Per i sopravvissuti una insidiosa marcia del “davai”, o la drastica prigionia in gulag siberiani. Solo uno sparuto gruppo di reduci riesce a rivedere Mondovì, il 13 giugno del ‘43, “accolto da un incessante lancio di fiori” come scrive il foglio fascista “A noi!”. Ma la retorica non può più nascondere l’enormità della tragedia né le responsabilità di chi l’ha provocata. Il pensiero va ai caduti e alla sorte dei dispersi: angosce a lungo senza risposta. E da quel settembre una parte dei reduci sceglie un generoso impegno sui monti di casa nella lotta di liberazione dall’occupazione nazifascista. Altre dure esperienze, altri sacrifici da non dimenticare e su cui riflettere.


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