«L’esempio di San Donato offra a Mondovì buoni pastori»

Oggi la Diocesi di Mondovì è in festa. In Duomo le celebrazioni per San Donato, è la festa di san Donato, patrono della Cattedrale e della Città di Mondovì.

Omelia del vescovo Egidio per la Solennità di san Donato,
patrono della cattedrale e della città di Mondovì

È bello ritrovarsi stasera insieme, rappresentanti delle diverse componenti e responsabilità della comunità religiosa e civile, per celebrare san Donato, il nostro patrono, il patrono della cattedrale e della città. Anzitutto, perché possiamo a ragione dire che la devozione a san Donato è antica quanto la città stessa.
La storia racconta infatti che gli abitanti di Vicoforte, insieme a quelli di Carassone e Monastero di Vasco, che sul Monte di Vico diedero vita al nuovo insediamento, primo nucleo della attuale città, qui trasportarono anche l'elemento religioso e spirituale, ovvero la devozione a san Donato. Così si ebbe una prima cattedrale di san Donato sul Colle di san Donato (l'attuale cittadella), cui seguì la costruzione della attuale cattedrale sul Colle di sant'Andrea, sempre dedicata al santo vescovo.
Non è questo l'unico esempio. La storia documenta di varie città distrutte, e poi altrove ricostruite, ma sempre attorno all'urna del santo patrono, certamente visto come protettore, ma anche come modello di vita. E nell’immagine dei nostri avi che portano con sé san Donato è facile ricordare quella celeberrima di Enea che da Troia distrutta, camminando in mezzo alle fiamme, oltre al vecchio padre Anchise sulle spalle e al figlioletto Ascanio per la mano, reca con sé i Penati, cioè le divinità protettrici del focolare domestico nonché simbolo della patria. Non è un caso che questa sia una delle scene più note giuntaci dal mondo antico, e poco importa che sia precristiana: essa ci dice l’importanza delle radici e dell’identità, e in più ci racconta come di quelle radici l'elemento religioso sia parte essenziale, per come indica, o addirittura costituisce l’insieme dei valori da custodire e trasmettere.
A questo punto mi viene spontanea la domanda su quale sia oggi l'identità di questa città, quali i valori che intende trasmettere. Immaginiamoci costretti a una trasmigrazione (e ad una, almeno culturale, in un tempo nuovo, la pandemia ci sta costringendo): cosa porteremmo (e porteremo) con noi? Ci ricorderemmo (e ci ricorderemo) dei valori cristiani, di Cristo e del suo Vangelo? Ce ne stiamo ricordando? Con quale riferimento morale stiamo attraversando questo tempo difficile?
Donato Vescovo e martire: modello dei pastori
Ma veniamo a San Donato e alla sua figura, che si caratterizza perché egli fu insieme vescovo e martire. Proprio l’intrecciarsi della funzione di vescovo e del destino di martire, intrecciarsi indissolubile, credo possa parlarci. Anche le letture, del resto, ci conducono in quella direzione. Nella pagina di Ezechiele dice il Signore Dio, davanti a un popolo allo sbando, a motivo del disinteresse dei suoi capi: “Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura (…) Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita”; Gesù, nel passo del Vangelo, si definisce “buon pastore” che depone la sua vita per le pecore, e realizza la promessa di Dio.
Tutto questo ci dice che, certo, come il gregge necessita di una guida, definita e de-scritta come “pastore”, così ogni gruppo umano che si venga a organizzare necessita di una guida e di una gerarchia. Infatti le comunità cristiane, fin dall'epoca apostolica, hanno il loro riferimento nel vescovo, colui che presiede e attorno al quale si costruisce l'unità ecclesiale. Ma le letture e l’esempio di san Donato indicano anche altro, e cioè che il capo della comunità religiosa non è un capo alla stregua delle altre autorità. Gesù, un giorno, lo ha detto agli apostoli e a tutti noi: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,42-45). San Donato, pastore ad immagine di Gesù, lo ha messo in pratica fino ad accettare il martirio.
Sono parole e fatti con cui non possiamo non confrontarci, e parlo anzitutto a me stesso, perché le letture ascoltate, mentre in filigrana ci parlano di san Donato, tratteggiano anche lo stile e il compito del vescovo di ogni tempo. Oserei dire che io per voi e voi per me dovremmo oggi pregare il Signore e il nostro Patrono di aiutarmi almeno nelle intenzioni, nella sincera disposizione del cuore a volermi uniformare a quegli esempi altissimi e imprescindibili. E se non si tratterà di dare la vita in senso concreto (anche se di questi tempi, non si sa mai), che sia un dare davvero la vita per il governo e il bene di questa Chiesa che mi è stata affidata e per la quale, come pastore che ambisce a essere buono, ovvero “buon pastore”, devo impiegare tutte le mie energie, il mio tempo, le mie capacità, appunto, pastorali, quali che esse siano, perché questa Chiesa conservi e tramandi la sua fede e cerchi ogni giorno di viverla in maniera degna del Vangelo. Tutto ciò deve accadere con le povere forze della mia persona, con quelle del mio clero, sempre più anziano e sempre meno popoloso, e con quelle di voi tutti: San Donato, che protegge questa Chiesa, per questa Chiesa ancora oggi ci chiama a raccolta e ci chiede di dare tutto noi stessi.

Donato esempio per tutti
Ma qui presenti ci sono anche alcune autorità laiche e civili, e mi sembra giusto sotto-lineare come la pagina di Ezechiele risuonasse in un contesto in cui i "pastori" non erano le guide spirituali, ma "i capi del popolo”; del resto già Omero chiamava i sovrani “i pastori delle nazioni”. È in un contesto di ingiustizia sociale e di gestione avida del potere dove il popolo è abbandonato a se stesso che Ezechiele annuncia la realizzazione della giustizia per mezzo del “Signore vero pastore”.
Né si può dimenticare che il Vangelo è sempre per tutti: voglio dire che l’esempio di san Donato vale anche per i nostri politici e amministratori, perché le loro cariche hanno senso e dignità solo in un’ottica di autentico e onesto servizio alla comunità degli uomini.
Perché mai accettare di avere dei capi, delle guide, qualcuno che ci governa? Perché facciano il loro interesse? No, nessuno ne sentirebbe la necessità. E poi: per fare il proprio interesse basta essere persone comuni e neppure delle più originali e nobili! Se ci si propone alla guida di un gruppo umano, o si accetta tale incarico, non può essere che per perseguirne il bene, perché si ritiene di possedere le qualità necessarie a operare per il suo bene, perché si vuole cooperare al bene della comunità. Come ha detto Gesù, la nobiltà del capo è la nobiltà del servo, di chi si fa meno perché ha di più, e lo mette a disposizione, in ciò mostrando e realizzando la propria più vera grandezza. Ammettiamolo: se la politica e la cosa pubblica fossero gestite così, quanto guadagno per tutti; e quanta maggiore serenità per tutti!
Possa quindi san Donato offrire sempre alla Chiesa e alla città di Mondovì, “buoni pastori”, un vescovo e delle autorità civili che tendono, almeno, a quel fine, con tutto se stessi. Per il bene di tutti.
Vescovo Egidio

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