Quando Mondovì anticipò Orwell – La misteriosa utopia di “Nubicuculia”

Nubicuculia è un romanzo di fantascienza apparso sulla Gazzetta di Mondovì del 1898, che all’epoca si chiama, futuristicamente, “L’Alba del Novecento”. Il titolo riprende “Gli uccelli” di Aristofane, ed è soprattutto una spietata – e poco raffinata – satira dei socialisti proiettata nel futuro, tanto che l’autore, Roberto Moncali, premette di sapere che i socialisti lo attaccheranno sullo stile perché il suo romanzo è un formidabile attacco alla loro ideologia. Per quanto escluderei di inserire il romanzo tra le fonti di Orwell, è comunque interessante questa anticipazione (che riprende, come vedremo, opere precedenti).

Moncali è, probabilmente, uno pseudonimo: non se ne trova nessuna attestazione se non come autore di questo racconto. Dato che, chiaramente, l’autore si sarebbe attratto forti antipatie con il suo racconto, è possibile abbia assunto un nom de plume. “Moncali” mi pare rimandare a “Moncali-eri”, di cui potrebbe magari essere originario. Il cognome in sé non è attestato.

La citazione dell’opera di Aristofane, del 414 a.C, è appropriata: due ateniesi stanchi della democrazia decidono di fondare una città perfetta sulle nuvole, a metà strada tra uomini e dei, alleandosi agli uccelli. Essi combattono gli dei e vincono, perché bloccano il flusso dei fumi dei sacrifici, prendendo gli dei per fame. Essi sono costretti a cedere: gli uomini venereranno gli uccelli come nuovi dei, mentre il trono di Zeus e i suoi fulmini andranno a un umano. La cosa è una satira delle Utopie sul modello della Repubblica di Platone, il sogno di una città ideale che promette il paradiso in terra e stabilisce invece un inferno (influenzerà anche la Laputa di Gulliver). La cosa funziona bene nella nuova opera: similmente, i socialisti piemontesi (o cuneesi) sono stanchi della loro vita e decidono di trasferirsi nel deserto libico dove in un vicino futuro hanno creato la loro Nuova Roma, raggiunta con un aeromobile, ma scopriranno essere un totalitarismo da cui fuggiranno (il finale è differente).

L’autore cita anche la utopia socialista dell’inglese Bellamy, “Looking Backward”, “guardando indietro”, scritta nel 1888, dove dal 2000 socialista si guarda al passato, a come si è giunti a questa evoluzione. Il protagonista, il giovane americano West, si risveglia dopo 113 anni in un mondo dove il socialismo ha vinto e gli USA sono sotto tale forma di governo. Il sistema è descritto come perfetto, ma può apparire abbastanza inquietante: tutti i lavoratori sono inquadrati in un “esercito industriale”; non c’è il denaro ma solo carte di credito, e informazioni e musica vengono diffuse via telefono. L’opera fu la terza più venduta di fine ‘800 in USA, dopo La capanna dello zio Tom (il manifesto degli abolizionisti) e Ben-Hur (sull’impero romano nella prima età cristiana).

L’opera esordisce il 12/4. Viene collocata sotto l’etichetta “varietà” e definito “Romanzo avvenirista”. L’autore inizia con una lunga excusatio non petita, in cui dichiara che sarà attaccato vilmente dai socialisti, che sanno la pazzia delle loro teorie ma non amano sentirsela dire, e dai pedanti, “tiranni dell’arte”, che criticheranno la qualità del suo lavoro in quanto tenta di scuotere la “pesante cappa trecentista” con temi e linguaggi nuovi. Il racconto – romanzo è eccessivo – è in effetti modesto nella realizzazione, ma interessante nei temi. L’autore si difende con l’autorità del suo mentore, Mario Pilo, autore delle “Mie Camene”, che con la distanza del tempo non ci risulta così noto. Tuttavia è attestato da Wikipedia come scrittore e filosofo (1859-1920).

Il romanzo comincia poi con un giovane pittore socialista, che ipocritamente lavora per la chiesa, innamorato dalla figlia di un compagno. Addirittura in lui si potrebbe prefigurare Andrea Vinai, pittore monregalese, massone, garibaldino (ospitò l’eroe dei due mondi in un momento difficile), favorito dal vescovo Ghilardi nelle sue commissioni religiose per l’oggettiva bravura. Nel secondo episodio si introduce lo Scalzagatti, il politico socialista che inganna i militanti locali, ricco ma socialista per convenienza di carriera politica, che viene a tenere una conferenza al club socialista di C. (Cuneo?). Prima pasteggia a Barolo con il leader dei socialisti locali, rivelandogli che il socialismo è solo una mucca da mungere, poi arringa i seguaci locali propinando loro un vinaccio di quart’ordine in osteria (di lusso o di scarto, sempre avvinazzati i socialisti sono per l’autore).

Il progetto di Scalzagatti, oltre che ai temi che ci attendiamo da un socialista caricaturale (cancellare religione e proprietà privata), implica conquistare un pezzo di deserto del Sahara in Libia e creare qui un nuovo Eden tramite la scienza socialista. Parla anche di suffragio universale e pari diritti alle donne, e qui perfino i suoi sostenitori si guardano imbarazzati a fronte di questi orrori: “non siamo mica frammassoni!” protestano, mentre l’oratore li guarda con ironico disprezzo.

C’è poi un salto alla seconda parte del racconto, in cui vediamo realizzati i sogni dei socialisti. Nel 1898 è avvenuta la paventata rivoluzione in tutta Europa, ma i socialisti italiani, più prudenti, si sono limitati a fare una secessione nel deserto libico, dove hanno creato un loro Eden moderno di nome Nubicuculia, la cui capitale è Nuova Roma. I socialisti piemontesi e lombardi si stanno recando lì su un Aeronave, un modernissimo velivolo. Ovviamente l’autore lancia dubbi su quanto il paradiso terrestre sia poi davvero tale, ma i socialisti sono riusciti comunque a rendere il deserto abitabile e vi hanno creato la loro terra ideale. L’Aeronave si chiama Bellamy, in onore dell’autore di Looking Backwards, satira fantascientifica socialista del 1888 che l’autore mira a rovesciare. La nuova parte, intitolata “Nelle nuvole”, si apre con una citazione di Ariosto, a evocare il “folle volo” dell’ippogrifo.

Nuova Roma, quando vi si giunge, appare totalitaria: case tutte uguali, in vie squadrate intitolate ai grandi del socialismo – i nostri finiscono in Via Turati. Gli unici palazzi grandiosi sono quelli del governo e dei vari ministeri, le chiese sono proibite perché l’unico astruso culto è quello del Dio-Umanità (sulla scorta dei rivoluzionari francesi giacobini), che forse è il diavolo stesso. Un sacerdote che si è unito ai socialisti viene prontamente rimpatriato beffardo dal prefetto della città. L’unico intrattenimento è una musica infernale (l’autore anticipa anche il rock and roll, o direttamente la trap?). Il vestito è uguale per tutti, una tunica classicheggiante e un elmo che ricorda quello di Don Chisciotte (indizio della follia di questa anti-utopia). Ovviamente, i nomi sono stati sostituiti con un numero: “cittadino n.123456! Lei è in arresto!”.
La polizia è composta per metà di donne, con orrore dell’autore, ed esercita un controllo totalitario: il pittore è perseguito per aver gettato una latta di colore per strada (si preconizza anche Greta Thumberg). Verrebbe scarcerato in cambio della sua disponibilità a divenire un pittore di regime, cosa che però sdegna il giovane artista romantico. Inoltre in carcere ha incontrato un anarchico: anche lui si era illuso sul paradiso dei lavoratori, e ora intende distruggerlo, e il pittore Enrici simpatizza con questa idea: l’anarchico lo invia dall’aeronauta pilota del Bellamy, che è uno degli anarchici.
Il racconto mostra un dibattito nel parlamento di Nuova Roma, tra isolati pessimisti che si rendono conto di come il sistema non stia funzionando e gli anarchici si preparino a farlo collassare, subissati dagli ottimisti che si illudono che tutto vada bene. I nostri socialisti piemontesi hanno ormai visto però che il paradiso in terra è piuttosto una anticipazione dell’inferno, e quindi abbandonano questo Eden ingannevole e si rassegnano a tornare alla loro vecchia vita, abbandonando l’illusione del Sol dell’Avvenire.

L’Alba del Novecento sta per arrivare: vedrà il sorgere del sole rivoluzionario, ma prima o poi questo vedrà anche il suo tramonto, prima di quell’anno 2000 profetizzato dal Bellamy.

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