Profughi a Carrù, parla il prof: «Quello è puro razzismo, e ora vi spiego perché»

Docente di Antropologia culturale fa una lezione a Torino sul "caso Carrù".

«Non dite che siamo razzisti!», ha gridato il sindaco di Carrù. «Invece, lo sono eccome»: la replica non arriva da una persona qualunque, ma da un docente universitario. È il prof. Adriano Favole, cuneese (è di Trinità), docente di Antropologia culturale all'Università di Torino.
«Quello di Carrù non è un caso isolato - ci spiega -, ce ne sono mille così. Ma merita di essere analizzato. E sì, quello è razzismo puro». Lo ha detto davanti a un'intera aula di studenti alla sua lezione di Introduzione all'antropologia culturale, corso di laurea in Comunicazione interculturale.

Professor Favole, come mai a lezione ha parlato di Carrù?
«È normale che in un corso di antropologia culturale si ragioni a partire dall'attualità. Nel mio caso, anche da quella locale. Quest'anno il mio corso ha un modulo esplicitamente dedicato al razzismo, che cominciava proprio in quei giorni. Mi è sembrato un ottimo spunto per cominciare».

Lei sostiene che quello che si è visto a Carrù sia un episodio di razzismo: perché?
«Lo è senza dubbio. Per spiegarlo, faccio un passo indietro. Ci sono molti tipi di razzismo. C'è quello economico, legato alle opportunità che talcuni Paesi non hanno. C'è quello istituzionale: lo stesso Trattato di Dublino ne è un esempio, perché nega ai migranti la possibiità di spostarsi liberamente. Avere un sistema scolastico che non prevede insegnanti di italiano apposta per gli stranieri, è una forma di razzismo. E poi c'è il razzismo nel suo termine "ultimo", come quello che si è visto a Carrù».

Però il sindaco, Stefania Ieriti, sostiene l'opposto: "Noi non siamo razzisti", ha detto. Spiegando che il paesi di Carrù ha dimostrato altre volte la sua anima sociale...
«Sì, lo so. Oggi li si definisce "norapperi", quelli che "non siamo razzisti, però...". Invece lo sono eccome. Ed è ancora più preoccupante che a protestare in strada ci fosse anche il sindaco. Una manifestazione autorizzata, certo, ma intimidatoria. La voce del sindaco è quella delle istituzioni. Cosa c'è di più razzista del mettersi contro all'accoglienza di esseri umani? Alcuni passaggi del suo discorso in municipio sono una colleIone di concetti di razzismo puro».

Quali?
«Il sindaco ha parlato dei profughi con i toni con cui si parla delle cose, degli oggetti, di pacchi da spostare. Ha detto: 'verrebbero messi in stanze vicino alle scuole o ai luoghi di ritrovo degli anziani'. Sembrava non stesse parlando di esseri umani, ma di cavallette che devastano i raccolti».

Questi umori però sono molto diffusi. A cosa è dovuto?
«A una ignoranza enorme, diffusa e crescente. Oggi le persone non si informano più su nulla in modo completo, si limitano a guardare contenuti televisivi oggettivamente inguardabili. Ecco perché la responsabilità delle istituzioni oggi è grande. Ed è gravissimo che queste siano inadeguate alla complessità del mondo in cui viviamo».

La crisi economica che stiamo attraversando ha influito su questo fenomeno?
"La crisi c'è, questo non lo si può negare. Ma quello che non è stato capito è che l'immigrazione sarebbe una via per uscirne. Soprattutto in paese come il nostro, quasi a crescita-zero. Eppure, non accade. Perché? Perché esistono partiti politici che propagandano un razzismo vero che, attarverso gli slogan, ci convincono che l'immigrazione sia un problema. E così ci fanno stare dentro la crisi".

Però lo scenario attuale è questo. Cosa serve per uscirne?
"Servono segnali forti da parte dell'Europa. Serve superare la meno paura a livello politico. E, nel nostro piccolo, serve avere il coraggio di fare qualche considerazione sui casi che abbiamo davanti. Proprio come quello di Carrù".

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