Olimpiadi per chi fugge dalla guerra

Nell’antichità le Olimpiadi rappresentavano una pausa per tutti, in particolare per i conflitti in corso. Oggi invece...

Nell’antichità – chissà se poi avveniva per davvero e fino in fondo, o se restava un auspicio piuttosto disatteso? – le Olimpiadi rappresentavano una pausa per tutti, in particolare per i conflitti in corso. Ci si fermava, deponendo le. armi E ci si confrontava negli stadi e sulle piazze, a colpi di gare innocue armi – così recitava la versione ufficiale. Un’immagine bella, ideale, non si sa quanto probabile. Ma, almeno, nelle intenzioni resta tuttora un bel messaggio, se non si vena di retorica e quindi di ipocrisia. Nell’epoca moderna – a parte lo stop nel corso dell’ultima guerra mondiale –, ci si è ritrovati sotto i cinque cerchi olimpici a gareggiare, mentre erano in atto guerre un po’ marginali e dimenticate, ma comunque micidiali. Solo in rare occasioni le nazioni si sono divise sul boicottaggio o meno. Con esiti molto contraddittori.

Ora siamo alle viste delle Olimpiadi a Rio de Janeiro, in un Paese, il Brasile, che sta vivendo una stagione di crisi e di smarrimento molto pesante. Ma le guerre restano ugualmente presenti sul quadrante mondiale. E forse non avranno modo di fermarsi, per via appunto delle gare olimpiche. Invece giunge una notizia un po’ incoraggiante, nonostante tutto. Hanan Dacka, rifugiata siriana di 12 anni che vive in Brasile dallo scorso anno, ha corso a Brasilia portando la torcia olimpica. A seguito di una discussione con l'UNHCR, l'Agenzia ONU per i Rifugiati, il Comitato Organizzativo dei Giochi olimpici di Rio 2016 ha selezionato Hanan per partecipare alla prima giornata della staffetta della torcia sul territorio brasiliano. Un evento simbolo. Per non dimenticare i conflitti lasciati al loro crudele destino, come sta avvenendo in Siria appunto (400 mila morti negli ultimi quattro anni; con 5 milioni di profughi). In un momento in cui il numero di persone costrette a lasciare la propria casa a causa di conflitti e persecuzioni è il più alto dalla seconda guerra mondiale, il fatto che Hanan abbia portato la torcia olimpica attraverso Brasilia rappresenta un gesto di solidarietà verso i rifugiati in tutto il mondo. Dopo essere stata accesa per la prima volta il 21 aprile nella città greca di Olimpia, luogo di nascita dei Giochi, la fiamma è stata portata anche dal rifugiato siriano Ibrahim al-Hussein attraverso il campo di Eleonas, il centro di Atene che accoglie circa 1.500 richiedenti asilo.

Hanan, che è arrivata in Brasile nel febbraio del 2015, vive con la sua famiglia a San Paolo, nella zona sud-orientale del Paese. Pienamente integrata in Brasile, frequenta una scuola vicino a casa, parla fluentemente portoghese e ha molti amici brasiliani. Hanan e la sua famiglia vivevano nella città di Idlib, nel nord-est della Siria. Quando è scoppiata la guerra, sono fuggiti e hanno cercato protezione in Giordania, dove hanno vissuto per due anni e mezzo nel campo per rifugiati di Za'atari. La famiglia ha deciso di lasciare la Giordania ed è arrivata in Brasile nell'ambito del programma di visti umanitari speciali promosso dal Paese, che consente ai sopravvissuti ai conflitti di viaggiare verso il più grande Paese dell'America Latina e presentare lì richiesta di asilo. Ad oggi, circa 8.000 di questi visti speciali sono stati rilasciati dalle autorità brasiliane, inclusi ad Hanan e alla sua famiglia che sono stati riconosciuti come rifugiati e stanno ora ricostruendo la propria vita a San Paolo.

Un segnale importante, quello di Hanan, che può servire a non voltare la faccia altrove, anche se i Giochi olimpici potranno poi calamitare l’attenzione senza scampo, criptando un po’ tutti gli altri guai tragici del momento. Purtroppo, cose già viste.

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