U2: quando eravamo re

Visti dagli altri: live al PalaAlpitour di Torino

Cinque anni di attesa dall’ultimo concerto (Istanbul, settembre 2010), un anno da Songs of Innocence, e un mese di febbrile attesa con scambio intenso di messaggi tra tre amici, U2TO il nome della chat. Finalmente è il 4 settembre, ci siamo. Pala Alpitour di Torino, nel bel mezzo di un parterre imballato da gente proveniente da tutta Europa; ascoltiamo le note di People Have The Power di Patti Smith, preludio all’Evento: agitazione e entusiasmo. Alle 20,30 i quattro ragazzi di Dublino aggrediscono la serata con The Miracle (of Joey Ramone), tratta dall’ultimo album, seguita da The Electric Co. tratta da Boy, gli estremi che si uniscono: Innocence+Experience il nome del tour, Bono da una parte, la band dall’altra, l’arena tagliata in due da una lunga passerella sovrastata da schermi a led. La chitarra di The Edge è tagliente, Adam Clayton al basso è il solito metronomo, Larry Mullen Jr. scandisce i tempi con virtù da atleta. Bono appare appesantito e presenta un improbabile look degno del miglior Malgioglio, la voce, però, è quella dei tempi migliori, e il carisma fuori discussione. Si continua con Vertigo (Unos, Dos, Tres, Catorce!), I Will Follow, un vero e proprio bombardamento, siamo a due metri dalla pedana, non si sente benissimo. Bono dedica una canzone (Iris) alla mamma e inizia lo spettacolo delle pareti luminose; con Cedarwood Road cammina sospeso nella strada della sua infanzia a Dublino, segue un’entusiasmante Song For Someone, con cui si entra nella casa della famiglia Hewson. Sunday Bloody Sunday in versione minimal sfocia in un’esplosione che ricorda gli attentati terroristici degli anni ‘70, sullo schermo nomi e foto di chi non ha ancora trovato giustizia; si chiude con Until the end of the world. The Edge in mezzo allo schermo fa un paio di errori e ci ride su, mentre un Bono gigante lo sovrasta e gli sputacchia l’acqua addosso, come giocavano forse da adolescenti… Pausa house con un remix di The Fly e si riparte con una carrellata di successi degli anni ‘90. Bono fa salire sul palco una ragazza, la abbraccia, si presenta e le presenta la band, le porge un tablet e continua a cantare, lei riprende tutto in diretta e in mondovisione su Meerkat. “Che fortunata!”, dice una giovane di fianco a me; loro sono anche questo, penso io. Pianoforte e voce per October, pelle d’oca per noi, tanto più che non la suonano spesso. Una raffica rock lancia Bullet The Blue Sky, sullo schermo la Siria e il dramma dei rifugiati; Where The Streets Have No Name fa perdere la voce, come sempre, With Or Whithout You commuove, come sempre (credo sia il pezzo che mi avvicinò al gruppo, da ragazzino). Pausa, biiiiiiiis, il predicatore ricorda che possiamo cambiare il mondo, tutti; noi ci crediamo sempre meno, i ragazzini a pochi metri da noi hanno l’obbligo di farlo, un paio di brani che avremmo preferito fossero altri e tripudio finale con One, cantata da tutto il palazzetto.
Ci si abbraccia tra amici, sudati, stanchi come avessimo suonato al posto loro, e ancora carichi di entusiasmo. Tra pochi minuti cominceremo a lamentarci di quello che avremmo voluto sentire e non hanno suonato, tra qualche ora saremo sicuri di aver assistito a qualcosa di unico, domani inizieremo a prepararci per il prossimo.

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