Roma, Storie d’amore e di coltello

    Apriamo in questo numero un nuovo spazio, lasciato a un collettivo torinese (composto da qualche monregalese) che ogni mese approfondirà uno dei panorami principali dell’intrattenimento giovanile. Il Rap è un genere nato a fine anni ‘70 negli States e che in un decennio ha oltrepassato l’oceano per arrivare anche in Italia, ma solo nel nuovo millennio ha trovato ramificazione in un pubblico di massa, sino ad essere ora oggetto di tendenza. Loro sono .

    Prodotto di culto nato in seno a uno spin-off del collettivo Truceklan (Roma); il gruppo si chiama In the Panchine e così anche il disco, album che nel suo supporto fisico risulta ormai introvabile: anche la madre del Chicoria, proprietaria di un negozio che vende materiale marchiato “Truceklan” dalle parti del Vaticano, ne è sfornita. Tutto finito, andato. La grafica usata si potrebbe definire esteticamente imbarazzante: la copertina ritrae i componenti del gruppo, G-Mellow, Benassa, Cole e Chicoria, rappresentati con una testa di dimensioni enormi, atteggiati a rapper americani. In quanto raccontato sin qui, poco di nuovo; discorso diverso invece per i contenuti, che sono invece qualcosa di eccezionale, sia per forma che per contenuto. Primo elemento di rilievo, il lessico, che è un ibrido: i brani sono cantati con l’uso di un italiano sporco e contaminato di romanismi, mischiato a un inglese maccheronico con cui i rapper si atteggiano ironicamente a rapper americani (“with pretesto, droga pesante come antipasto”); usano la lingua estera per sintetizzare i concetti, per riempire di contenuti, per infarcire le rime di citazioni (we are mafiosi in this jungle you a’re lost / Cole, Fulci sodoma ghost / I wanna be a rockstar / I wanna be a crackstar / I wanna be, ITP ti devasta). A parte l’originalità indiscussa nel lessico (solo Chicoria non usa l’inglese, cantando in italiano ma con pesanti errori e imperfezioni volute, per aumentare quell’attitudine hardcore che contraddistingue i lavori del Truceklan), i contenuti sono pieni di citazioni filmiche, tante e tali da alimentare la curiosità dei cinefili in ascolto (“registi: Lucio Fulci, Mario Bava e Umberto Lenzi, like seven black spiders: orrendi”); incontriamo poi nel disco la Roma orbitante attorno alla Crew, così come i personaggi dello spettacolo di riferimento, all’epoca, per i rapper stessi. Quella di In The Panchine è una descrizione dettagliata della “subcultura” urbana a cui i rapper appartengono, al tempo coinvolti in storie anche “losche”, di disagio, di abuso e caos, visionata attraverso una lente cinematografica, iperrealista. Le produzioni anni ‘90, semplici, ma potenti e coinvolgenti (per esempio le basi di Gemelloooo o di Mr. G. sono stupende), fanno sì che l’ascolto possa essere ripetuto centinaia di volte e non essere mai completamente esaurito.
    Missioni nel Tubo: Deadly Combination,
    13 pm, Stolen Car e Never Do The Spia.
    Il Voto: 8,5.

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