La solitudine degli uomini binari

Tra le molteplici declinazioni del tema della solitudine troviamo molte interpretazioni del dramma dell’incomunicabilità moderna

Il tema della solitudine è per paradosso uno dei più affollati in letteratura. Lasciamo perdere in poesia, dove l’io lirico dev’essere per forza “solo et pensoso i più deserti campi” da Petrarca in poi, ma anche in narrativa l’eroe (o l’antieroe) spicca nella sua solitudine drammatica. Nel ‘900, poi, tra le molteplici declinazioni del tema della solitudine troviamo molte interpretazioni del dramma dell’incomunicabilità moderna, che ci isola ciascuno come una monade inconoscibile. Maestro ne è Pirandello, tra gli altri, ma anche qui gli esempi potrebbero essere sterminati. Per questo, voglio soffermarmi invece su un caso poco noto, che ha sfruttato ampiamente la solitudine nella propria produzione narrativa: Isaac Asimov. L’autore di origine ebraica, di cui ricorrono in questo 2020 i cento anni dalla nascita, ha posto al centro del suo vasto affresco della storia futura i robot senzienti, che ha immaginato a partire dai primi anni del 2000 (non ci siamo ancora del tutto, ma ci stiamo avvicinando) fino a un domani remoto, dove la colonizzazione dello spazio avrebbe generato un Impero spaziale, poi condannato a crollare e autodistruggersi se non per l’azione provvidenziale di un Grande Piano, in grado di arrestare tale caduta e portare alla rinascita della civiltà spaziale. A reggere questo grande disegno è, solitario, il maggiore dei robot senzienti, il robot Daneel Olivaw, l’unico sopravvissuto della sua singolare stirpe, essendo totalmente androide, del tutto indistinguibile dall’uomo. I robot, condizionati a difendere ad ogni costo l’umanità dalle leggi della robotica che sono state inscritte in loro, sono però temuti dagli uomini, afflitti dalla “sindrome di Frankenstein”, e alla fine abbandonati in favore di servo-meccanismi non intelligenti, meno inquietanti per l’umanità. Olivaw però sopravvive e si dà come missione la “Legge Zero”, difendere l’umanità a ogni costo. Asimov amò molto questi eroi solitari, a loro modo dotati di una rara struttura tragica nella science fiction. All’opposto di Olivaw sta il – temporaneo – dittatore della galassia, il Mule, un mutante dotato di enormi poteri psionici di condizionamento mentale, una evoluzione rarissima, potente ma deforme, sterile (come denota il suo soprannome). È un antagonista con tratti patetici in una lunga fase del ciclo futuribile, che non riesce però a deviare il corso della storia. Un’altra figura, di nuovo robotica, è “L’uomo bicentenario”, un robot che riesce a ottenere una sua autonomia giuridica grazie a padroni illuminati. Potrebbe avere una vita immortale, nel benessere, ma totalmente isolata, di fatto. Alla fine ottiene, con un sommo sacrificio, il diritto a cui sogna: essere proclamato Uomo. Chris Columbus ne ricavò un film modesto, nel 1999, con Robin Williams, che con la sua presenza attoriale (notevole ma ingombrante) deviò la pellicola verso un registro comico, anche se non privo di alcuni momenti patetici, ma lontano dalla statura tragica dell’originale.

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