Caso Grillo: la Dadone parla… ma non si schiera

A tre giorni dal delirante video di Beppe Grillo, che su Facebook ha urlato contro la magistratura che sta indagando suo figlio Ciro (assieme ad altre persone) per presunta violenza di gruppo nei confronti di una ragazza, parla la ministra 5 Stelle Fabiana Dadone. Parla... ma non si schiera.

Dadone esce pubblicamente con un post sulla sua pagina social. Un post che però, di fatto, non entra nel merito. Anzi: sta molto distante dal fulcro della vicenda. «Credo sia davvero meschino entrare nel merito di una questione che riguarda privati cittadini, che non conosciamo e su cui sta lavorando la magistratura», scrive la ministra monregalese alle Politiche giovanili.

La Dadone non prende esplicitamente le distanze dalle pesantissime affermazioni di Grillo: si limita a ribadire ciò che la legge sostiene (il diritto a denunciare fino a a un anno dopo la presunta violenza), attacca le strumentalizzazioni politiche sul caso ricordando il (sacrosanto) «concetto di garantismo contro le sentenze già scritte» e si esprime a 360 gradi sulle «persone coinvolte, finite sullo sfondo di una guerra politico mediatica più grande di loro».

Più che una presa di distanza dalle parole del fondatore e guru ideologico del Movimento 5 Stelle (stigmatizzate larghissima parte del mondo politico e non solo), il suo post è una risposta alla Lega di Salvini. La Lega, infatti, ieri ha "tirato per la giacca" la Dadone - anzi: per le scarpe - scrivendo: «L'8 marzo faceva la fenomena... ma sulle parole oscene di Grillo, fa scena muta».

Ed è su questo - non su Grillo - che la Dadone scrive: «So che in politica il tempismo della dichiarazione vale più della sostanza di ciò che si dice ma ci sono volte in cui il silenzio non rappresenta l'assenza di opinioni o la paura di esprimerle, è solo bisogno di riordinare le emozioni senza farsi travolgere dalle stesse. Giocare al "chi si esprime prima è più pro diritti delle donne" e "chi lo fa dopo è meno donna dura e pura, meno femminista, meno garantista" non fa per me».

Sintomatico, e significativo, è il fatto che nel suo post non compaia mai, nemmeno una volta, il nome di Grillo. Ci sono diverse frecciate alla Lega («Un cinema che non alza certamente il livello del dibattito su una vicenda sulla quale regna una confusione di piani politici e personali notevole»), una che pare diretta alla Boschi («Meschino paragonarla a situazioni per nulla simili, analoghe o vagamente paragonabili»: la renziana aveva ricordato gli strali dei 5 Stelle sulla vicenda che riguardava la sua famiglia), un'esplicita allusione alla strumentalizzazione politica («l'opportunità di assumere la difesa della presunta vittima da parte di una Senatrice di spicco come la Bongiorno, avvocato di Matteo Salvini, che a sua volta, spero involontariamente, ha dato colore politico a un caso che non ne aveva la connotazione») e infine una nota di orgoglio pentastellato («La legge che ha reso realtà la speranza di estendere il tempo per la denuncia di violenza subita da 6 mesi a 1 anno, è stata portata in consiglio dei ministri dal Movimento 5 stelle e approvato grazie al MoVimento 5 stelle»).

Ma, nei fatti, non c'è una vera e propria condanna - diversamente, per esempio, da quanto fatto più esplicitamente dal sindaco di Torino Chiara Appendino - rispetto a quanto affermato da Beppe Grillo, né di solidarietà alla ragazza, a cui la Dadone si riferisce chiamandola «presunta vittima».

La ministra ribadisce ciò che dice la legge: «Non c'è dubbio sul fatto che ogni persona si debba sentire libera di denunciare dopo 1 giorno, 1 mese, 1 anno se ritiene di aver subito una qualsiasi forma di violenza. Ciò che lo rende indubbio non sono post facebook o dichiarazioni rilasciate a tutto volume ma la legge italiana». Grillo non ha però detto che la denuncia fosse illegittima: ha sostenuto fosse «strana», sospetta, date le tempistiche.

La conclusione della dichiarazione è nuovamente diretta alla Lega: «strumentalizzazioni per coprire lo strappo surreale dato dalla Lega al Governo ieri in consiglio dei ministri sull'ultimo decreto covid».

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