Nuovo capitolo nella vicenda giudiziaria che riguarda i fratelli Orlando e Attilio Pecchenino, noti produttori vitivinicoli di Dogliani. Ai due si contesta una frode in commercio, relativa alle annate del Barolo comprese tra il 2005 e il 2012. Nello specifico, secondo la tesi della Procura, avrebbero vinificato nella storica cantina di famiglia anziché in quella di Monforte d’Alba, come dichiaravano.
Lo stabilimento doglianese sorge trecento metri al di fuori dall’area di produzione del Barolo. A norma di legge, quindi, lo stesso vino che entro quei confini può essere chiamato Barolo docg deve essere etichettato come Langhe Nebbiolo doc se ciò non avviene. Le indagini dei Nas erano state avviate a seguito della denuncia di un privato, dando origine a due diversi filoni d’inchiesta. Quello astigiano si è chiuso con un patteggiamento per tentata frode e falso, finalizzato ad ottenere un più rapido dissequestro delle annate.
Di fronte al Tribunale di Cuneo, invece, i due imputati avevano optato per il processo con rito ordinario. In primo grado il giudice li aveva condannati a sei mesi, ritenendo provate le accuse solo per quanto attiene le annate comprese tra il 2007 e il 2012. Sentenza ribaltata un anno fa dalla Corte d’Appello di Torino che aveva assolto i Pecchenino per tutte le imputazioni e disposto il dissequestro di circa 20mila bottiglie.
Ora la Corte di Cassazione si è pronunciata annullando a sua volta il verdetto di appello e disponendo un nuovo processo: si ripartirà quindi dal secondo grado di giudizio. Gli avvocati dei Pecchenino, Fabrizio Mignano e Luisa Pesce, hanno così commentato il responso della suprema Corte: «Prendiamo atto della decisione della Cassazione che riguarda, esclusivamente, l’impianto motivazionale della sentenza impugnata. Tale pronuncia non intacca in alcun modo il valore degli elementi di prova favorevoli agli imputati ma, al contrario, ne riconosce la pregnanza. Affronteremo il nuovo giudizio di appello con assoluta serenità».
All’epoca dell’avvio delle indagini, Orlando Pecchenino si era dimesso dalla carica di presidente del Consorzio di tutela del Barolo e del Barbaresco che ricopriva in quel momento. In seguito è stato rinviato a giudizio anche per una presunta sottrazione di parte del vino in sequestro: accusa dalla quale è stato assolto, con sentenza ormai divenuta definitiva, nell’aprile dello scorso anno.