L’adozione è una scelta di amore, coraggio e solidarietà che cambia la vita di chi apre le porte all’accoglienza e di chi varca quella soglia. È un gesto da ponderare, da portare avanti con i passi giusti e con la necessaria preparazione. Di ostacoli ce ne sono tanti, ma alcuni sono decisamente imprevedibili, soprattutto se si parla di istituzioni governative. E proprio questo è il fulcro di una storia che da Garessio arriva fino al Pakistan. Curiosamente, appena raccolta la testimonianza (e la denuncia) che andremo a raccontare, siamo incappati nei dati diffusi dalla Commissione per le adozioni internazionali. Raccontano di un crollo verticale delle autorizzazioni all’ingresso in Italia a scopo adottivo: pesano le scelte di alcuni Stati stranieri, la guerra in Ucraina ma anche la solita burocrazia. Nel nostro Paese servono in media 4 anni e 4 mesi per completare l’iter di un’adozione e il tutto è regolato da una legge (la 184) che a maggio ha compiuto 40 anni.
Quella che ci spiega, dalla val Tanaro, Nadia Matrella è la storia di un percorso intricato e con una peculiarità importante: non si tratta dell’adozione di un minore, bensì di un maggiorenne. Una procedura prevista dagli ordinamenti, ma che sta “sbattendo” contro il silenzio di un organo dello Stato italiano davanti alla volontà di un cittadino di seguire scrupolosamente tutte le vie legali necessarie.
«Voglio presentare un’istanza di adozione per Usman, un ragazzo pakistano di 23 anni – ci racconta la signora Matrella –, ma sinora ci è stato impedito avviare tale procedura, di fronte al Tribunale di Cuneo, poiché i documenti del ragazzo risultano incompleti: manca la legalizzazione da parte del consolato italiano di Islamabad che da quasi due anni non risponde alla richiesta di un appuntamento da parte del ragazzo». Non sono servite richieste via mail, incalcolabili tentativi telefonici e «il consolato non ha mai risposto neppure alla richiesta di un visto turistico, nonostante la domanda fosse accompagnata da ogni requisito fornito da parte mia e di mio marito Franco». Infruttuoso anche il tentativo di passare attraverso il consolato pakistano a Milano. Lunghe ore di attesa e di anticamera sono servite a scoprire che «soltanto un cittadino pakistano avrebbe potuto ottenere ciò di cui io necessitavo». Un diniego che uno straniero può solo accettare, ma al suo Paese la signora Nadia chiede di più: «Cosa posso fare affinché il silenzio del consolato italiano, la sua inadempienza nel fornire un appuntamento al ragazzo, non mi impedisca di procedere? Si tratta di un’amministrazione pubblica, seppure ubicata ad Islamabad. Io e mio marito vogliamo bene a Usman e abbiamo affrontato sacrifici economici per supportarlo in questo periodo. Ho tentato anche di farlo entrare in Italia tramite un contratto di lavoro, con i flussi migratori, per poi semplificare l’iter di adozione. Ma è stato tutto vano».
Pur certificando l’impossibilità di ottenere la legalizzazione dei documenti, il giudice rigetterebbe comunque l’istanza. Al momento l’ultima carta è stata quella di esporre il problema al Ministero degli Affari Esteri, dal quale dipende il consolato. Anche se, però, parte della documentazione rischia di scadere. La coppia garessina è entrata in contatto con Usman (oggi tornato in Pakistan) quando lavorava come operaio negli Emirati Arabi Uniti: uno Stato finito spesso sotto i riflettori internazionali sul tema dei diritti umani ed in particolare dello sfruttamento dei migranti, provenienti soprattutto dai Paesi asiatici più poveri (quasi una forma moderna di schiavitù con regole ferree e passaporti ritirati dai datori di lavoro).
Pur tra stanchezza e scoramento Nadia Matrella e suo marito Franco comunque non si arrendono, con coraggio: «Sono amareggiata per la situazione, non so più come muovermi, anche se è mia intenzione perseverare all’infinito pur di raggiungere il mio obiettivo, che è quello di fare entrare in Italia Usman, per via legale, tramite adozione, ed aiutarlo finché avrò vita. Voglio diventare la mamma adottiva del ragazzo, occuparmi del suo benessere in toto. Perché, quale cittadina italiana, non riesco a fare rispettare un mio diritto?».
«Voglio adottare Usman, il Consolato italiano di Islamabad risponda»
Il desiderio di una signora di Garessio sta “sbattendo” contro il silenzio di un organo dello Stato italiano