Un viaggio nel 2016 le ha cambiato la vita e oggi Paola Zoppi, originaria di Priero, vive a Djougou, una città del Nord Ovest del Benin, nell’Africa Occidentale. Qui si occupa del Centro di accoglienza “Birim” con altri “compagni di viaggio” e di vita.
«Ci sono stata la prima volta nel dicembre del 2016 – racconta Paola – per accompagnare i miei genitori che dall’anno prima si erano coinvolti nella costruzione di un Centro di accoglienza per bambini. In quell’occasione ho avuto modo di conoscere meglio il progetto e soprattutto le persone che lo stavano portando avanti. Ne sono rimasta profondamente toccata, e dopo essere tornata in Italia per laurearmi, ho deciso che lì avrei passato la mia estate: i tre mesi prima di iniziare la mia vita “da grande”. Da quel momento è cambiato tutto. In Italia non ci sono più tornata, se non per qualche mese l’anno. Con i miei compagni di avventura, Maria Giovanna, Federico e Andrea abbiamo creato l’Associazione di volontariato “Amaranta” per raccogliere fondi destinati alla gestione di quel Centro di accoglienza che nel frattempo aveva preso forma e chissà, magari anche di altri progetti in futuro. Di Andrea mi sono innamorata. Con lui mi sono sperimentata artigiana e imprenditrice. Con lui ho aperto il mio cuore ai bambini del Centro, li ho accolti e mi sono sentita madre per la prima volta. Una maternità che inizialmente non riuscivo a comprendere razionalmente, ma a cui ho potuto dare un senso grazie alla “Comunità di Gorra”».
La Comunità di Gorra è una comunità di vita, nata a Bene Vagienna da un gruppo di ragazzi che agli inizi degli anni ’80 si sono rimboccati le maniche e pieni di entusiasmo e fede si sono messi insieme per iniziare a costruire il loro mondo migliore. Un mondo pronto a accogliere tutti: disabili, persone affette da dipendenze e poi anche minori.
«Un mondo dove queste persone non dovevano sentirsi diverse, ma uguali a tutti gli altri nell’operare insieme – spiega Paola –. Così è nata una grande casa. Quindi sono sorte tante attività. Poi una Cooperativa. C si occupava di agricoltura, apicoltura, trasformazione di prodotti agricoli e avicoli e poi anche cosmetici, di falegnameria e di produzione di oggettistica in legno… Erano una forza della natura. Poi con gli anni sono invecchiati e non c’è stato ricambio generazionale perché oggi la condivisione non è cosa da tutti, anzi. In un anelito di vita e di speranza però nel 2015 hanno accolto la proposta dell’Associazione “Amici dell’Africa” di finanziare la costruzione del Centro di Djougou. Lì le nostre strade si sono incontrate e non si sono più separate. E così oggi la mia vita si divide tra Djougou, dove passo circa nove mesi l’anno, e Bene Vagienna dove passo i restanti tre».
Il Centro di Accoglienza “Birim” costruito da Federico Dalmazzo, architetto doglianese e co-fondatore di “Amaranta”, è un bellissimo insieme di casette dai tetti di paglia e costruzioni tipiche dell’architettura tradizionale africana rivisitata e migliorata. Lì, Paola, insieme ad Andrea, si occupa dei bambini, della gestione della casa e delle attività che con Federico e Maria Giovanna hanno creato con l’obiettivo di dare formazione, lavoro e autonomia al Centro un giorno.
Paola, come si svolgono le vostre giornate?
«Le nostre giornate beninesi sono scandite principalmente dalla routine dei bambini che oggi sono ventisette e hanno età e necessità differenti (il più piccolino ha un anno, il più grande ne compirà diciotto quest’estate). A queste occupazioni quotidiane si aggiungono le pratiche amministrative (il Centro d’Accoglienza “Birim” infatti è riconosciuto dallo Stato Beninese e, in quanto tale, a esso deve rendere conto) e infine ci sono le attività, in particolare l’apicoltura, che oggi è ben avviata e produttiva».
Quali le difficoltà e quali le soddisfazioni?
«Vivere con tanti bambini e occuparsi della loro educazione non è semplice. Farlo in un mondo culturalmente distante da quello in cui sono nata e cresciuta, a volte, è ancora più difficile. Però quando riesco a fermarmi un attimo, quando rallento, riesco a coglierne tutta la bellezza. La bellezza dell’accogliere e dell’accompagnare, la bellezza del farlo in un angolo di mondo che ha tanto da insegnarmi. La bellezza di poter condividere tutto questo con la mia famiglia che mi ha sempre sostenuta, con la Comunità di Gorra che mi ha accolta, con Andrea che mi ha scelta e soprattutto di poterlo offrire a nostro figlio Edoardo».
Sei felice della tua scelta? Un giorno tornerai in Italia?
«Difficile guardare troppo lontano. Per il momento sicuramente io e Andrea vogliamo continuare a garantire la nostra presenza ai bambini, facendo però anche la nostra parte per la Comunità e per “Amaranta”. Per questa ragione, anche se passiamo più tempo in Benin, ormai viviamo in un non-distinguo di partenze e arrivi. E domani chissà? Accogliere dei bambini è un impegno a lungo termine e implica una dedizione costante e quotidiana, però nel nostro contesto non è solo questione di presenza, bisogna anche avere la sicurezza che le realtà che sostengono il progetto funzionino: saremo dove ci sarà bisogno di noi».
C’è qualche appello o messaggio che vorresti trasmettere?
«Un giorno uno dei fondatori della Comunità ci ha scritto che “i progetti conservano in sé un margine di incompletezza come per dirci che c’è ancora posto per qualcuno che per ora non c’è e non conosciamo”. È profondamente vero. Quindi se qualcuno è incuriosito dalla nostra storia, non esiti a sbirciare sul sito amarantaweb.it e a contattarci. Chissà…».