80 anni fa: ad un passo dalla morte, il “volo” nell’Ermena di due partigiani di Mondovì

Nel marzo 1944 Vincenzo Ghiglia e Tullio Boetti viaggiavano verso la fucilazione. Il ricordo di Ezio Ghiglia

Nell’ottantesimo anniversario di un evento che vide come protagonisti due cittadini monregalesi, tra cui il padre, Ezio Ghiglia ripercorre un episodio, tra tragedia e fortuna, della Resistenza in città nel 1944. Vincenzo Ghiglia, capitàno del Genio, rientrato ferito dalla Russia e subito attivo nella Resistenza a fianco del gen. Perotti, di Cosa e di Mauri, fu salvato in extremis da… un incidente stradale. Ricordiamo che la storia del capitano Ghiglia, della sua famiglia e del piccolo mondo del rione Borgato di allora è al centro del libro “Il mio borgo, la mia gente al tempo della guerra - Ricordi di una bambina d’allora” della figlia di Vincenzo, Nora Possenti Ghiglia (CEM, 2020).

di EZIO GHIGLIA

A metà marzo sono trascorsi 80 anni da un fatto che, se fosse accaduto oggi, sarebbe oggetto dominante sulle prime pagine dei mezzi d’informazione. Erano altri tempi. I mezzi d’informazione quasi non esistevano. La stampa e la radio erano soggette a censura. Inoltre, proprio in quei giorni, avevano luogo fatti ben più importanti. A livello locale era infatti in corso il pesante rastrellamento delle truppe nazifasciste in Val Casotto contro le Formazioni partigiane autonome del maggiore Mauri. A livello regionale, sempre in quei giorni, furono arrestati a Torino il gen. Perotti e gli altri membri del Comitato regionale di Liberazione, fucilati pochi giorni dopo al Martinetto.

Il fatto che qui voglio ricordare accadde a Mondovì ed ebbe come involontari protagonisti i monregalesi Tullio Boetti e Vincenzo Ghiglia, entrambi partigiani. Il primo aveva una bottega di meccanico ciclista all’angolo di via Santuario con via della Riviera, in prossimità di piazza Santa Maria Maggiore e svolgeva incarichi di supporto ai reparti partigiani. Il secondo era un geometra, reduce dalla Campagna di Russia dove, capitano di complemento del Genio Ferrovieri, ne aveva comandato il X Battaglione nella battaglia di Krasnogorovka, sul fronte del Don, a metà dicembre del 1942. Il suo fu l’unico reparto del Genio Ferrovieri ad aver partecipato ad una battaglia nei 150 anni di storia di quel Corpo ed era stato inviato in prima linea per dare manforte alla Divisione Pasubio. Ferito in combattimento, era stato fortunosamente evacuato e, dopo mesi di peripezie, era riuscito a ritornare in Patria e a riprendere servizio.

Dopo l’8 settembre si era messo a disposizione del gen. Perotti, suo ex superiore, che da Carrù stava organizzando i primi nuclei della Resistenza in Piemonte. Egli lo incaricò del reclutamento nella zona di Mondovì, nonché di operare come ufficiale di collegamento con le Formazioni partigiane delle Valli Monregalesi, dalla Val Casotto alla Valle Pesio. Nella notte tra il 16 e il 17 marzo 1944 un plotone di SS raggiunse Mondovì da Ceva, dove aveva sede il loro Comando, e arrestò i due monregalesi, dopo aver perquisito le loro case alla ricerca di armi e documenti. I due prigionieri furono caricati su un autocarro insieme alla scorta e partirono per Ceva.

I tedeschi si fermarono al Santuario per un’altra perquisizione. Qui trovarono una cantina ben fornita e ne approfittarono. Quando ripartirono, l’autista, probabilmente ubriaco, anziché prendere la strada per Ceva, ritornò verso Mondovì. Giunto al posto di blocco che i tedeschi avevano installato agli Sciolli sul ponte sull’Ermena, nei pressi dell’allora Casa Cantoniera, nel superare lo sbarramento di “cavalli di frisia”, perse il controllo del mezzo, che precipitò nel torrente. Persero la vita quattro SS e tutti gli altri occupanti rimasero feriti in modo grave.

Tullio Boetti ebbe la frattura di entrambe le gambe e per anni, dopo la guerra, continuò a gestire la sua bottega zoppicando vistosamente. Vincenzo Ghiglia ebbe la frattura della base cranica e di entrambi gli avambracci. Furono trasportati entrambi all’Ospedale di Mondovì, dove furono affidati alle cure del dr. Borzini e ricevettero le amorevoli attenzioni di tutto il personale sanitario. Un ufficiale tedesco, che passava di frequente a constatare lo stato dei due prigionieri, consolò un giorno la moglie piangente di Ghiglia dicendole che, se non fosse accaduto l’incidente, essi sarebbero stati fucilati a Ceva il giorno dopo. In quei giorni il plotone d’esecuzione delle SS fucilava ogni giorno i partigiani catturati in Val Casotto. Viste le loro condizioni fisiche, che ormai li rendevano inabili a svolgere qualsiasi compito nella Resistenza, e grazie anche all’intercessione del vescovo di Mondovì, mons. Briacca, i due prigionieri furono lasciati liberi dopo quaranta giorni di degenza in Ospedale e poterono ritornare alle loro case.

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