Mauro, una triste storia sbagliata: quelle volte in cui tutti perdono

«Non voglio aiuto, lasciatemi qui. Sono un barbone felice». Mauro lo ripeteva a tutti quelli che andavano a parlargli, a offrigli aiuto, a spronarlo ad alzarsi. E a dirgli: avanti, fatti dare una mano, lascia che facciamo qualcosa. Non accettava.

Una storia umana, quella dell’uomo senza fissa dimora trovato morto lunedì mattina, sulle panchine a fianco della stazione. Una storia che va capita. Non giudicata, ma magari compresa. Una trista vicenda, di quelle che qualcuno definirebbe “storie sbagliate”.

Si chiamava Mauro, aveva 59 anni. Era originario di un paese della valle Mongia. Aveva lavorato per anni a Villanova, in un’impresa del settore edile. Poi la sua vita era scoppiata e tutto era andato a rotoli. Ed era finito per strada. Da solo. Non era senza famiglia, o almeno non del tutto: c'è una sorella che vive lontano da Mondovì e ci sono parenti in zona, a Vicoforte. Rifiutava aiuto anche da loro. Dormiva su una panchina in corso Italia, qualche volta veniva ospitato da altre persone al Ferrone. Così, col passare dei mesi, la società aveva cominciato non solo ad accorgersi di lui, ma anche a cercare di fare qualcosa.

Il suo caso era noto: al Comune, alla Polizia locale, alla Caritas e ai servizi sociali. In passato era stato ospitato alla Cittadella della carità: poi, però, aveva scelto di allontanarsi volontariamente e non tornare. Era stato assistito quando aveva preso il Covid e ricoverato a Saluzzo. Non aveva accettato di restare a letto o chiuso in un ospedale. Sempre tramite la Caritas, poi, era stato messo in contatto col SERT, il servizio di recupero per le dipendenze. Lui non nascondeva il suo problema con l'alcol, chi lo conosceva non poteva far finta di nulla. C’era la possibilità di aiutarlo, inserendolo in una comunità. Avrebbe voluto dire avere un tetto, un percorso di recupero, un aiuto a lasciare la strada e magari a reinserirsi. Ma anche a questa aveva detto di no. Infine, non più di una settimana fa, era stato raggiunto da un’ambulanza che lo aveva visitato. Chi lo conosceva racconta che le sue condizioni erano ormai molto critiche, era debole, faticava persino a camminare. Lui aveva firmato per non andare in ospedale.

È morto di notte. La notte prima del giorno in cui ricominciavano le scuole. Chissà quanti ragazzi sono passati a fianco a quella panchina, andando a prendere il treno o spostandosi dalla fermata dei bus. Ma è stato un operatore della “Raimondi” a notare che Mauro non si muoveva più. Le temperature non erano eccessivamente fredde. Lui era adagiato su una panchina avvolto in una coperta abbastanza pesante.

Addosso aveva un giubbotto. Intorno alla panchina, qualche sacchetto di plastica con tutto quello che aveva e qualche bottiglia. Bottiglie in cui, forse, si trova un bel pezzo della sua storia. Lo sapevano bene i ragazzi del “Caffè sociale”, che lo vedevano ogni mattina su quelle panchine: gli portavano la colazione, offrendogliela grazie ai “caffè sospesi” donati da chi può a chi non può. Mauro, raccontano, ringraziava sempre e non pretendeva mai. E ogni volta che si ricadeva nel discorso degli aiuti, si chiudeva e troncava il discorso. Rispondeva che no, che lui non voleva sostegno da nessuno, dalla famiglia o dai servizi sociali. Una storia triste, umana, dolorosa, sbagliata. Di quelle in cui nessuno vince, e tutti perdono.

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