Diamanda Galas, la voce della sofferenza

La preview del Flowers Festival, è stata lasciata (al Cinema Massimo con un film-installazione e alle Lavanderie a Vapore di Collegno in live, a inizio giugno) nelle mani dell'istrionica cantante americana.

Preview di grande prestigio quella offerta da Hiroshima Mon Amour all’interno della cornice del Flowers Festival: Diamanda Galas, artista californiana di origine greca, torna in Italia dopo alcuni anni di assenza, per l’unico concerto alle Lavanderie a Vapore di Collegno. L’appuntamento rientra nel tour promozionale della doppia uscita dei nuovi lavori della Galas, All the Way/At Saint Thomas the Apostle Harlem, il primo una raccolta di standard jazz riarrangiati, il secondo la registrazione di un live tenuto appunto nella chiesa di Saint Thomas ad Harlem.

Preview della preview, la proiezione al Cinema Massimo di Torino di “Schrei 27”, film installazione della durata di 27 minuti commissionato dalla New American Radio di Staten Island, con la Galas ed il video artist Davide Pepe presenti in sala. Il video si compone di 11 scene, in loop, durante le quali l’anatomia del performer Salvatore Bevilacqua viene sottoposta al bisturi estetico di Pepe. Un film incentrato sulla tortura e sui danni psicologici che ne derivano. La Galas, a dispetto del suo aspetto austero e tetro, si dimostra invece ironica e loquace, felice di rispondere alle domande del pubblico.

Concetto che ribadisce in qualche modo due giorni dopo, per il suo concerto nelle Lavanderie a Vapore di Collegno, quando si dice felice di essere nuovamente in Italia ed onorata di suonare per il pubblico presente in sala. Per la sua esibizione non poteva essere scelta location migliore, poichè le Lavanderie erano effettivamente quelle del manicomio di Collegno, ora convertite a spazio per rappresentazioni teatrali e concerti sperimentali. Per i successivi 90 minuti, la Galas propone un repertorio incentrato sulle due recenti pubblicazioni, solo pianoforte e voce. Non un semplice concerto, ma una performance vera e propria, perché l’approccio che la Galas mantiene, anche con brani classici jazz, è sempre di stampo sperimentale/avanguardistico. Si cimenta nel francese per Fernand di Jacques Brel, nello spagnolo per La Llorona di Chavela Vargas, il tedesco in Die Stunde Kommt. Ogni brano viene affrontato con una tecnica vocale eccezionale: gorgheggi, urla stridule, note tenute sibilanti per interi secondi, saliscendi vertiginosi, lamenti laceranti, reso tutto ancor più drammatico dallo scarno allestimento scenico e il pulsare di poche luci rosse. Posata e composta, si avvicina ad un leggio per un una lugubre lettura di Morphine, e sempre con voce roca e profonda, in un italiano padroneggiato con dimestichezza, dedica una canzone agli “stronzi che sfruttano le donne in alcune fabbriche in Messico e a cui certe donne della California pensano mentre camminano nella notte”. Poco prima del congedo, la Galas aggredisce il suo pianoforte, percuotendo il copri tastiera ritmicamente contro lo strumento, urlando straziata mentre luci strobo bombardano il pubblico che scoppia in un applauso scrosciante.

Immancabile gli encore, con la chiusura affidata all’immancabile spiritual Go Down Moses, che nella riscrittura personale la Galas trasforma in Let My People Go. Il pubblico le riserva una sentita standing ovation, e lei, sorridente e grata, saluta prima di scomparire, sempre misurata e plateale, nelle ombre che scendono alle Lavanderie. Le luci si accendono su una platea che dimostra molta soddisfazione per una performance di altissimo livello, grati ad un’artista che non finisce mai di meravigliare e sorprendere con il proprio continuo mettersi in gioco e farsi portavoce di una sofferenza che, come affermato nello scambio con il pubblico al cinema Massimo, conosce perché vissuta personalmente.

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