«La mafia in Piemonte è una realtà: e fa affari nei settori redditizi»

Intervista a Gian Carlo Caselli, a Mondovì per parlare agli studenti dell'Alberghiero.

«La mafia in Piemonte esiste, è un dato assodato». Anche processualmente. «Ma - spiega Gian Carlo caselli - forse non è ancora una cosa accettata da tutti. Molti ragionano ancora secondo i vecchi schemi».

Un incontro d'eccezione, mercoledì mattina, all'Istituto Alberghiero di Mondovì. A parlare davanti agli studenti, nell'aula intitolata a Borsellino, è Gian Carlo Caselli. Ex procuratore capo della Procura di Torino, il magistrato oggi in pensione ha ripercorso la sua carriera: la lotta alle Brigate Rosse, gli anni al lavoro a Torino con Bruno Caccia (magistrato ammazzato dalla 'ndrangheta nel 1983) e poi a Palermo, dove conseguì importantissimi risultati nella lotta alle mafie che avevano assassinato Falcone e lo stesso Borsellino.

«Dopo le stragi degli anni '90 - dice Caselli - sembrava che la mafia dovesse schiacciare la democrazia». Caselli è il magistrato che ha condotto l'inchiesta "Minotauro", che ha finalmente portato alla luce la presenza della 'ndrangheta (la mafia calabrese) in Piemonte, con infiltrazioni nel mondo delle imprese  e della politica. «Quell'inchiesta ha portato a 150 arresti e condanne, proprio nella città dove Bruno Caccia, che io considero un mio grandissimo maestro, fu ucciso».

«La mafia - ha aggiunto - oggi non è più quella di 20 anni fa: non è più "quella che spara". È una mafia liquida, che fa gli affari senza commettere stragi». I settori non sono solo droga, armi e prostituzione: ma anche edilizia, rifiuti, appalti, gioco d'azzardo.

Dott. Caselli, qual è il messaggio per i giovani, sul tema della legalità?
«Il messaggio più importante da trasmettere loro è questo: che la legalità non è una cosa astratta, ma concreta. Che ci tocca da vicino e che ci tocca tutti, non è solo un argomento da "guardie e ladri". Legalità vuol dire meno corruzione, meno sfruttamento meno mafia. E dunque più ricchezza, per tutti, per la collettività. Più possibilità di avere una vita migliore».

Secondo lei la gente comune sta iniziando a capire che la mafia in Piemonte esiste davvero, che non è soltanto "al sud" ma che riguarda anche le nostre zone? A volte, soprattutto nella nostra provincia, c'è l'idea che viviamo in una sorta di isola felice...
«La mafia è liquida e si insinua dove esistono affari redditizi. La presenza in Piemonte, come in tutto il nord Italia, è una cosa reale, e oggi forse questa idea comincia a farsi strada anche nel pensiero della gente comune. Purtroppo molti continuano a ragionare con i vecchi schemi. Invece no: è una cosa radicata, reale, penetrata in profondo».

Un'interesante domanda è venuta dagli studenti: il settore della ristorazione è da considerare a rischio di infiltrazioni mafiose?
«Sì, perché è un settore economico che oggi "tira". Nonostante la crisi, questo è un settore redditizio, in cui si fanno i soldi. Grazie, soprattutto, alla buona fama del marchio "made in Italy". E quindi, come tutti i settori che vanno bene dal punto di vista economico, attira chi vuole fare affari ai margini della legge. Magari in modo opaco,  non regolare, illegale e anche esplicitamente mafioso. La mafia si fonda su questo meccanismo: dove ci sono i soldi, arriva. "Piatto ricco - mi ci ficco". Dal momento che la maggior parte del denaro che circola nelle mafie proviene da affari illeciti, ed è quindi "denaro sporco", va ripulito attraverso il riciclaggio. E molto spesso il riciclaggio avviene attraverso attività alla luce del sole, imprese commerciali apparentemente pulite: come aziende agroalimentari e della ristorazione».

«Un importante progetto verso la cultura della legalità - ha detto la professoressa Donatella Garello, dirigente dell'Istituto -. I ragazzi devono conoscere queste vicende, capirle per ricordarle e non dimenticarle mai. La cultura della legalità è la cultura della libertà»

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