La memoria corta di chi non dice più grazie

    Un libro intrigante pone all’attenzione una modalità di vita per nulla estranea al percorso dell’umanità, ed oggi, magari, particolarmente presente e pesante, a ben guardare

    Quante pieghe ha l’animo umano? Innumerevoli. Magari non si possono contare od elencare tutte, specialmente se assumono il profilo della sfumatura, in positivo od in negativo. Il ventaglio di atteggiamenti, emozioni, sentimenti, reazioni… è variegato. Ed ognuno ci mette inevitabilmente del suo. Un libro intrigante pone all’attenzione una modalità di vita per nulla estranea al percorso dell’umanità, ed oggi, magari, particolarmente presente e pesante, a ben guardare. Sì, “Ingratitudine” del filosofo Duccio Demetrio (Raffaello Cortina Editore, pagine 192, euro 13) coglie una sensazione che lascia l’amaro in bocca ed il cuore ferito. Già, forse ci pensiamo poco, ma siamo un po’ tutti alle prese con qualcosa di importante che non ha funzionato nelle relazioni con gli altri, con gli amici, con i familiari persino, con coloro che si frequentano, con colleghi di lavoro, nella rete di interazioni quotidiane. L’analisi del filosofo chiama in causa la memoria corta che fagocita un mondo di gesti, mandati di colpo nel dimenticatoio della vita, macinando indifferenza e freddezza a più non posso. Essere ingrati allora sembra non fare problema. Come se tutto potesse essere archiviato, senza sussulti, senza rispetto, senza riconoscenza. Insomma c’è un problema di memoria, ma anche di consapevolezza. Oggi è difficile dire “Grazie”. Talora è raro che avvenga. E moti soffrono di questo gelo che sale imperiosamente in cattedra, per togliere qualsiasi calore allo stare insieme, al camminare insieme, al progettare insieme… In fondo abbiamo tutti bisogno degli altri, reciprocamente. Accorgerci che ce la possiamo fare soltanto sostenendoci a vicenda, soltanto mettendoci a disposizione, soltanto condividendo… è dare valore all’umanità che ci attraversa. Ovvio che qui non ci si limita a parlare di buone maniere o di galateo. Certo non guasta un po’ di sensibilità, in proposito (viste le sceneggiate che i media ci riservano con ogni sorta di maleducazione in evidenza disinvolta ed esibita!). In gioco c’è ben di più. Si tratta della qualità dei nostri rapporti umani, avvelenati od induriti da attitudini sfrontate nel non volersi più ricordare di nulla, a fronte di quanto si è imparato, ottenuto, ricevuto dagli altri. Anzi, strada facendo in questa direzione, sembra che tutto sia dovuto e che quindi non ci sia proprio da dire grazie a nessuno. Un brutta deriva, di cui il nostro tempo non ha proprio bisogno. Nel Vangelo si narra di dieci lebbrosi guariti, lungo il percorso da fare andando a mostrarsi all’autorità religiosa del tempo per certificare la scomparsa della infamante malattia: solo uno torna indietro a ringraziare, e per di più era un samaritano, un nemico, un eretico, uno straniero, un marginale… Già, potrebbe essere un disastro se l’ingratitudine fosse la norma e la riconoscenza l’eccezione. Come se tutto si giocasse su quanto uno è riuscito ad arraffare, e chi s’è visto s’è visto! Sarebbe come finire nella sabbie mobili ove non si costruisce nulla, dai rapporti umani di generosità e di condivisione, lasciando prevalere ciò che si stringe in pugno (finchè dura!). Un mondo triste, quello degli ingrati. Ed anche un po’ invivibile.

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