Malattie nostrane che fanno male

Forse non era neanche il caso che giungesse una “Giornata” apposita per porre all’attenzione la fatica e la sofferenza che colpisce chi è affetto dal morbo di Alzheimer.

La malattia d’oggi? L’indifferenza. Direbbe Papa Francesco. Ed è una patologia diffusa, radicata, perniciosa. Che sa di male, senza darlo ad intendere. Perché l’indifferente non è notato più di tanto. Sì, tira diritto per la sua strada. Ma si mescola in mezzo a tanti che fanno la stessa cosa. Insieme fanno massa, ma non lo si avverte più di tanto. Però poi l’indifferenza ha i suoi tratti di evidenza. Talora nelle battute pesanti e grevi che squalificano gli altri da lasciare al loro destino di sconfitti sempre. Altre volte ha il muso duro di chi urla la sua voglia di sicurezza, di orgoglio, di presunta superiorità… Ancora prende forma quando si tratta di dare una mano. Ma quella mano la si tiene in tasca. A protezione del proprio portafoglio. Senza che capiti nulla in chiave di solidarietà. Se poi l’indifferenza si infila nella politica internazionale determina decisioni più o meno silenziosamente clamorose, come la chiusura a riccio nei confronti dei poveracci che chiedono ospitalità, scappando da guerre, carestie, siccità, miseria… Magari innalzando muri per respingere, anzichè per costruire aperture e ponti ed aiutarsi nell’ora della fragilità estrema… L’indifferenza può essere banale o lucida. Il risultato finale è sempre lo stesso. L’esclusione dell’altro. Punto e basta. L’indifferenza è strisciante, contagiosa, trasversale. Per intercettarla e per imbrigliarla, sono da drizzare le antenne dell’animo, prima che sia troppo tardi. Ciascuno può fare qualcosa, quotidianamente. Per far arretrare l’indifferenza, almeno un po’.

Ma oggi c’è pure un’altra malattia, che la “Giornata mondiale” del 21 settembre chiama fuori degli angoli, più o meno nascosti, in cui è relegata in tante case. E’ il morbo di Alzheimer. E forse non era neanche il caso che giungesse una “Giornata” apposita per porre all’attenzione la fatica e la sofferenza che colpisce chi ne è affetto e chi vive al fianco e deve farsene carico. Comunque serve anche come richiamo per tutti, su porzioni di umanità pesantemente ferite nella psiche da una malattia che corrode, scompagina, devasta la persona, facendo saltare rapporti, relazioni, vivibilità. Mercoledì 21 settembre questa “Giornata” un po’ ha acceso i riflettori dell’opinione pubblica su tutto questo spaccato di dolore della mente (e non solo). Resta poi la ferialità in cui la malattia va avanti, si aggrava, rende ogni cosa problematica. Nel mondo sono coinvolte da questa forma debilitante di demenza ben 47 milioni di persone: saranno 131,5 milioni nel 2050. Senza dimenticare che solitamente si… ammalano, di riflesso, anche le rispettive famiglie, relegate in qualche isolamento, e stressate da un’assistenza che svuota di energie e talora di equilibrio, con costi emotivi altissimi. Dicono che il morbo di Alzheimer, nelle sue modalità più o meno gravi, esordisce con quegli atteggiamenti-spia come il senso di disorientamento, la perdita delle memoria, la difficoltà nel trovare parole appropriate per esprimersi… Sembra che non si possa contare oggi su cure in grado di arrestare l’avanzata della malattia. Ma i farmaci possono aiutare, per attutire l’impatto del male. E con l’Alzheimer si finisce in quelle sacche di patologie che riducono i contatti sociali, con la comunità d’attorno che inesorabilmente si allontana. Certo, c’è il Sistema sanitario nazionale a cui rifarsi. Ma non basta. Ci sono strutture apposite, non sempre sostenibili dal bilancio famigliare. Resta l’orizzonte della… comunità allargata. Che non può lasciar soli nel momento in cui l’Alzheimer mette in ginocchio. Un’ulteriore sfida dei nostri tempi difficili.

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