Certo, è difficile tenere il passo sulle news più tragiche che partono dai vari punti del globo. Nei mass-media entra in gioco una sorta di priorità un po’ anomale, che spingono a tralasciare ai margini, a minimizzare e qualche volta a trascurare quasi del tutto… notizie di impressionante gravità che però provengono da aree ritenute di seconda o terza serie. In questi giorni vengono riservati pochi secondi e rapidi cenni, nei Tg o sui siti on-line (con poche consapevoli eccezioni), agli scontri che si sono scatenati attorno a Juba, la capitale del neo-Stato del Sud Sudan, che ottenne l’indipendenza esattamente cinque anni fa. Là, in quelle terre martoriate, vive ed opera il missionario di Monastero Vasco e Villanova M.vì, fr Giacomo Comino, salesiano, che da Karthoum si è trasferito appunto nella nuova nazione per soccorrere profughi disperati e bambini abbandonati, tutti vittime di guerre dimenticate. Da venerdì si è innescato un confitto ulteriore, dentro un’aspra tensione che da tempo lascia il Paese preda di un limbo di precarietà e di violenze: infatti il presidente Salva Kiir è in aperta ostilità con il vice-presidente Riek Machar, entrambi figure di primo piano ed in contrasto, nel passaggio all’indipendenza, senza un quadro istituzionale chiaro e definito, anzi per nulla condiviso. Le vittime sono ormai centinaia, in questo recentissimo precipitare degli eventi. Paradossale il fatto che gli scontri si siano registrati mentre i due avversari storici erano a colloquio al palazzo presidenziale in un tentativo di riconciliazione ai vertici. Insomma un frangente confuso, come spesso avviene a quelle latitudini. Si sa che di mezzo ci sono grossi interessi sul potenziale petrolifero dell’area sud-sudanese. Non sono estranei anche i dissidi di stampo etnico-tribale che pesano non poco: il presidente Kiir è dinka, mentre il vice-presidente Machar è nuer. E la guerra civile ha lasciato sul terreno in questi anni – secondo certe stime – fino a 300 mila morti. Un accordo di pace nel novembre 2015 resta sempre appeso ad un filo, come dimostrano i combattimenti di questi giorni. Il Sud-Sudan è un Paese in macerie. Ed incredibilmente questo avviene in una nazione che è a maggioranza cristiana. Coraggiosamente i vescovi sud-sudanesi a giugno hanno scritto: “Non c’è una guerra giusta… ma è necessario l’approccio ad una pace giusta”. Insomma un altro focolaio assurdo di morte e violenza, con vittime tra i più poveri, in un quadro disperante ed increscioso. Un pezzo di terzo mondo paurosamente “fuori controllo”. Che sembra non interessare molto nelle cancellerie che presumono di contare…
Disperati e dimenticati, in angoli di mondo “fuori controllo”
Scontri attorno a Juba, la capitale del neo-Stato del Sud Sudan