Profughi: la via giusta per l’accoglienza

Arriveranno in Italia famiglie di profughi in modo controllato e lontano dalla portata degli artigli di scafisti, mafie e speculatori.

Non paga lo Stato, ma la Chiesa. I profughi vengono controllati prima e dopo l'arrivo, con scheda e impronte digitali. Non vanno in albergo, ma in comunità. E non passano in mano agli schiavisti-scafisti. A volte le soluzioni si trovano, e quasi sempre si scopre che esistevano già: bastava solo applicarle. Così la Comunità di Sant’Egidio e la Chiesa evangelica italiana sono riuscite dove i Governi fallivano da sei anni. Hanno aperto un corridoio umanitario per far arrivare in Europa, a cominciare dall’Italia, famiglie di profughi dalle zone di guerra. In modo controllato. In modo sicuro, certificato e soprattutto lontano dalla portata degli artigli di scafisti, mafie e speculatori.

«Non avremo risolto il problema dell’immigrazione, ma almeno abbiamo messo in piedi un modello umanitario»: parole di Paolo Naso, piemontese (è di Domodossola), responsabile del progetto. La prima famiglia è arrivata a Roma giovedì 4 febbraio: siriani, sono partiti dal Libano per ricominciare la nuova vita. Altri 80 rifugiati arriveranno in Italia a fine febbraio, forse anche in Piemonte. L’obiettivo: salvare mille vite entro il 2016. Paolo ci parla al telefono, raccontandoci il percorso di un anno e mezzo di lavoro: «Giovedì ero a Vercelli e non sono potuto essere a Roma per questo giorno importantissimo… ma questo per noi è solo l’inizio».

Un inizio. A quale risultato mirate?
«Il nostro obiettivo è portare un migliaio di persone entro l’anno. Il prossimo arrivo è previsto per fine febbraio: 80 persone, proveniente da un campo profughi in Libano. Tutte famiglie, siriane o irachene: padri, madri, bambini. C’è anche un ragazzo gravemente ferito negli scontri, che ha perso una gamba».

Avete costruito una via umanitaria, là dove nessun Governo era stato in grado di farlo. Come ci siete riusciti?
«È un percorso iniziato molto tempo fa, nell’autunno 2014, che nasce con la nostra esperienza a Lampedusa dove troppo spesso non potevamo fare altro che… contare le vittime in mare. Abbiamo capito che serviva fare una mossa in più. Così ci siamo messi a studiare una soluzione».

Dove l’avete trovata?
«Era negli accordi di Schengen del 2009… ma nessuno l’aveva mai applicata prima d’ora. Grazie alla collaborazione del cardinale Montenegro, abbiamo allacciato i rapporti col Ministero degli Esteri. Abbiamo lavorato più di un anno per tradurre l’ipotesi in un protocollo. È stato un percorso lungo e difficile, anche perché la situazione siriana si è incrinata parecchio nel corso del 2015, sotto il profilo della sicurezza».

Da dove vengono i profughi che fate arrivare in Italia, e come vi accertate della loro identità? Come fate a sapere che non ci sono persone pericolose, legate al terrorismo?
«Oggi abbiamo aperto tre “corridoi” umanitari: dal Libano e dal Marocco, già attivi, e dall’Etiopia. Sulla loro identità abbiamo certificazioni e controlli a vari livelli: sono tutte famiglie con cui siamo in contatto da tempo, in questo caso vengono da un campo di rifugiati in Libano. Prendiamo le impronte digitali nel loro Paese e facciamo dei controlli prima della loro partenza. Quando arrivano in Italia, si sottopongono a un altro controllo sull’identità. E, infine, vengono accolti in centri di accoglienza delle nostre comunità».

IL VIDEO
https://www.youtube.com/watch?v=qZgAolKZTFQ 

Come arrivano in Italia?
«In aereo. Questo era il primo obiettivo: sottrarre questa gente al traffico umano degli scafisti».

Chi si fa carico dei costi?
«Questo è un punto importante: di queste accoglienze si fanno carico interamente la Chiesa evangelica, la Comunità Sant’Egidio e la Chiesa valdese. Nessuno di questi rifugiati viene accolto a spese dello Stato. Grazie al supporto della comunità valdese, arriveranno anche alcune famiglie in Piemonte. Siamo riusciti a riaprire un concetto che esisteva da tempo, già presente ai tempi della legge Turco-Napolitano: prevedeva che l’immigrato potesse stare in Italia se la sua accoglienza era mantenuta da comunità, Enti o Associazioni».

Prevedete anche percorsi di integrazione?
«Assolutamente sì, sono obbligatori. Fanno parte dell’accordo: corsi di lingua e percorsi di inserimento nel mondo del lavoro per gli adulti e ovviamente l’insegnamento scolastico per i minori».

Domanda forse scontata ma… siete soddisfatti?
«Oggi? Ovviamente sì, ma questo è solo l’inizio. La soddisfazione sarà ancora più solida quando avremo portato a compimento il nostro progetto e quando avremo compiuto il passo successivo: dimostrare che non vogliamo portare in Italia casi isolati, ma costruire un modello di gestione dei flussi migratori. E quando ci saranno tre, quattro, dieci Paesi europei che replicheranno il nostro modello… allora sì che avremo raggiunto un grande risultato».

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