Acqua buona da 130 anni: l’acquedotto di Mondovì richiede nuove cure

La storia dell’impianto idrico per la città – Il primo zampillo in piazza Maggiore

Ne è passata di acqua nei tubi dell’acquedotto dal 1888, quando entrò in funzione a Mondovì un primo tratto della sua rete. Per secoli, solo pozzi e acqua del torrente o delle bealere per ogni necessità. Poi le prime fontanelle pubbliche realizzate con una raccolta di fondi fra la gente: nel 1855 al Piandellavalle e nel 1884 al Rinchiuso e presso la Stazione di Breo. L’igiene e la comodità se ne avvantaggiarono, ma non bastava. Occorreva una rete idrica che arrivasse alle case della città alta come di quella bassa; così nel 1886 fu approvato un progetto lungimirante che fu attuato rapidamente cominciando da Piazza e alimentato da acqua delle sorgenti poste all’imbocco della Val Ellero.. Costo 360 mila lire sostenuto da una Società Anonima che in meno di quattro mesi piazzò mille azioni da 360 lire cadauna per la gestione dell’acqua potabile.
Il primo zampillo sgorgò in piazza Maggiore e fu inaugurato sotto una fitta nevicata. Poi la rete fu gradualmente estesa a tutta la città e furono realizzati anche numerosi lavatoi: 10 a Piazza, 25 ai Piani. Ma nel primo ‘900 sorsero contrasti fra la Società e il Comune. La prima puntava soprattutto all’interesse societario, mentre il secondo si preoccupava giustamente di far giungere l’acqua possibilmente a tutti almeno in città e ad un prezzo accessibile. Si fece allora strada la proposta di un Consorzio di tre Comuni – Mondovì, Vicoforte, Briaglia – per distribuire anche acqua proveniente da sorgenti sopra Montaldo. Nel 1920-212 un’epidemia di tifo dovuta forse ad acqua inquinata portò alla rottura definitiva con la Società che fu posta in liquidazione. Il Comune individuò una nuova sorgente presso Lurisia e riabilitò quella dei Dho di Roccaforte; e insieme col Consorzio arrivò a servire 13 mila utenze in città e 3.300 in alcune frazioni, come documentò Mauro Bertazzoli nella sua tesi di laurea. Ma lungo gli anni, la rete fu ancora ampliata, varie tubature furono sostituite, furono costruiti serbatoi e attuati collegamenti che ampliarono la portata e il servizio sul territorio. In “Trent’anni della nostra vita” uscito nel 1986, Memo Martinetti ricorda quegli impegni, quelle realizzazioni, quelle difficoltà. La battaglia contro ricorrenti scarsità dovute a magre eccezionali (specie tra il 1965 e il ‘66), ma dovute anche a carenze della rete da rimuovere via via. Gli importanti lavori alle opere di presa in zona Dho che portarono l’erogazione da 54 a 72 litri al secondo, ancora inadeguata alla città in forte crescita, sicché la debole pressione non permetteva sempre di raggiungere i piani alti specie nei palazzi dell’Altipiano, mentre restavano da raggiungere le frazioni rurali che ne facevano pressante richiesta.
La soluzione venne dall’Acquedotto Generale delle Langhe e delle Alpi Cuneesi che assicurò un’integrazione idrica pari a 37,5 l / sec previa rinuncia del Comune a utilizzare, a favore dell’intero Consorzio, certe sorgenti della Val Corsaglia già individuate dal sindaco Giusta. Nel luglio 1969 fu approvato il Piano di sviluppo generale dell’acquedotto preparato dagli ingegneri Tournon e Maggi; ma in attesa dei finanziamenti necessari l’acqua dovette ancora essere severamente razionata nel ‘70. Poi il sen. Pella annunciò da Roma un mutuo di 200 milioni e si poté attuare l’allacciamento all’Acquedotto delle Langhe e costruire un grande serbatoio sulla collina di s. Lorenzo. Nell’agosto 1971 le fresche acque di val Corsaglia defluirono nelle condotte, e la disponibilità salì a 110 litri al secondo, saliti ancor a 150 quando, negli anni successivi, la rete fu estesa a tutto il territorio comunale con oltre 60 km di nuove tubazioni.
Una lunga storia dunque per un’opera complessa e impegnativa esposta al logorio del tempo e bisognosa ora di interventi che non siano solo rattoppi ma guardino al futuro.

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