25 APRILE: «Basta con le fake news: questa è una festa di tutti gli italiani»

di STEFANO CASARINO, presidente ANPI

Molti Stati europei hanno la loro Festa nazionale: la Francia il 14 luglio; la Germania il 3 ottobre; la Spagna il 12 ottobre; il Portogallo il 20 giugno; la Svezia il 6 giugno; la Finlandia il 6 dicembre, la Grecia il 25 marzo... l’elenco potrebbe continuare. Fa eccezione il Regno Unito, stante il suo carattere composito e la pluralità di feste, distinte per le sue diverse componenti. E l’Italia? Noi abbiamo il 2 giugno, che è la Festa della Repubblica. Ma questa Repubblica mai sarebbe sorta senza il 25 Aprile: credo si possa tranquillamente accettare questa affermazione come una constatazione storica e non come un’opinione di parte.

Eppure, oggi più che mai c’è chi sostiene che il 25 Aprile, in fondo, non merita di essere festeggiato, ricorda un passato non poi così importante, un’età che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle. Qualcuno aggiunge – a sostegno di questa per me incredibile tesi – che i Partigiani sono stati un’esigua minoranza (si veda il recente e documentatissimo articolo di Giovanni De Luna su “La Stampa”) e quindi perché celebrare una festa di pochi? Per giunta, una festa che è sembrata essere appannaggio di una precisa parte politica.

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Credo si debba dire forte e chiaro qual è la realtà storica, soprattutto in questi tempi di fake news. A fare la Resistenza, a combattere il nazifascismo fu certamente una minoranza. E certamente vi furono anche grandi differenze nel 1943 tra la Resistenza del Nord Italia, dove vi era la Repubblica di Salò, e il Sud Italia, con l’esercito degli Alleati che risaliva la penisola. Detto questo, di quella eroica minoranza fecero parte militari di un esercito italiano – che subì la vergogna del disarmo e dell’essere in balìa dei tedeschi dopo l’infamia dell’8 settembre (gli azzurri o badogliani o autonomi: tra questi basta ricordare Beppe Fenoglio, i cui libri dovrebbero essere studiati anche storicamente, soprattutto da chi fa affermazioni avventate) – e persone appartenenti alle più varie formazioni politiche: il Partito d’Azione, in primis, che espresse il primo presidente del Consiglio di un Governo di unità nazionale; eppoi: comunisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani e anarchici. Tutti accomunati da un unico obiettivo comune: combattere l’invasore tedesco e il fascista.

Uomini e donne, individui di tutte le età, anche se il contributo dei giovani fu determinante ed impressionante: l’età media dei partigiani è sui 24/25 anni. Se oggi noi possiamo parlare, discutere, leggere e scrivere liberamente, è grazie al sacrificio di costoro. Se oggi ci permettiamo di dare per scontata la democrazia (attenti però a non esagerare!), è grazie al sacrificio di costoro. Chi non lo riconosce, non conosce la storia. E questa ignoranza è quanto mai pericolosa. Chi non lo riconosce, non sa cosa significhi la gratitudine per aver avuto in dono qualcosa di insostituibile e di impagabile, anche se oggi sembra che importi solo ciò che è economicamente apprezzabile.

Chi non lo riconosce, dovrebbe leggere e meditare su quest’affermazione di Pietro Chiodi: «Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando qualcuno mi dice che non dovrei esserne orgoglioso. Perché penso che sono io che, combattendo per la libertà, gli ho conferito il diritto di dirmelo».

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