Addio a Giovanni Cuniberti, tra gli ultimi affabulatori in lingua piemontese

Cantastorie formidabile. Le sue “cuinte” popolate di maghi, streghe e scaltri ragazzini, hanno affascinato generazioni di giovani scolari

Se n’è andato giovedì mattina, 25 marzo, circondato dall’affetto della sua famiglia, Pietro Cesare Giovanni Cuniberti, classe 1936, più noto come Giovanni, uno degli ultimi affabulatori in lingua piemontese rimasti a custodire un patrimonio culturale di straordinaria importanza: le “cuinte”, fiabe popolari del nostro focolare monregalese. Personaggio arguto e fiero, dotato di un’eccezionale abilità narrativa, sotto i sottili “barbis”, nonno Giovanni teneva sempre pronto un sorriso ammiccante, un motto sagace, veri toccasana di una lunga vita non priva di stenti, fatica e privazioni. Ad una cerchia più ristretta di attenti e affezionati uditori, aveva serbato il suo tesoro più prezioso: il racconto delle vecchie “cuinte”, apprese da bambino dalla viva voce del nonno materno, Cesare Peirone, paroldese. Già, le “cuinte”, mirabolanti racconti tramandati oralmente dalla notte dei tempi, canovacci popolati di poveri eroi ammazzamosche, di principi e maghi, di streghe e di scaltri giovanotti capaci di trarsi d’impaccio dalle peggiori insidie grazie all’acume e all’ingegno. Narrate dai vecchi nelle lunghe vijà invernali, al tepore delle stalle, sgranando pannocchie di meliga, sferruzzando gli scapin, Le “cuinte” incantavano, svelando un vero caleidoscopio di scenari magici e misteriosi. Con malcelato orgoglio nonno Giovanni amava rivendicare quel ramo materno, quel nonno cresciuto felicemente nel piccolo paese abbarbicato alla Langa cebana, già avvezzo “a rabbrividire di un passato misterioso”. E proprio questa linfa prodigiosa aveva instillato e alimentato in lui una fantasia incredibilmente ricca. Dopo aver allietato con le sue “cuinte” dapprima la sua prole e poi i suoi otto adorati nipoti, Giovanni consegnò anche ad un buon numero di privilegiati scolaretti il suo tesoro estremo, andando a più riprese a scuola a Bastia, accompagnato dalla figlia, la maestra Caterina Cuniberti: ogni volta un successo incredibile. Sedeva circondato da uno stuolo di piccoli uditori, che pendeva letteralmente dalle sue labbra. La lingua piemontese non rappresentava affatto un ostacolo alla narrazione, nonostante solo un esiguo numero di bambini la comprendesse a pieno. Anzi, la sua parlata schiettamente langarola esaltava il colore delle parole, accendeva di luci inattese i toni, i modi di dire, stregava potentemente chiunque lo ascoltasse. La “cuinta” di Giuanin che, divenuto giovanotto, affronta imprese ardue, quella della “volp e el luu”, con il graffiante vecchio adagio “plan plan, el malavi o porta el san”, quella di “Peto cit”, irretito dal mago, ma capace di sottrarsi alle sue grinfie grazie alla sua sottile astuzia. «Sei stato il “nonu” che ci ha fatto ridere e divertire e ci ha incantato con le sua narrazioni – lo ricordano i nipoti – In quanti viaggi hai guidato la nostra fantasia! Per noi hai incarnato i personaggi delle tue fiabe. Come lo chiamavi tu “‘l mà dra pera”, l’arte muraria, è stato amore senza fine. Quanta fatica nel costruire e ristrutturare fino a quando le forze te lo hanno permesso. La costruzione più delicata ed importante l’hai coronata con Maddalena: quasi 64 anni di vita insieme, 4 figli, 9 nipoti e 5 pronipoti adorati. Con nonna al tuo fianco hai sfidato venti contrari e correnti alterne; in tanti anni pagine di prosa e poesia, sapori dolci-amari, salite e discese, attimi di vita faticosi e per questo preziosi».

“Odor ed cristianum”: patrimonio della cultura monregalese
Come Giuanin, Giovanni è uscito di scena, forse ritornato in quella dimensione senza tempo da cui pareva essere emerso, non senza aver prima consegnato il suo scrigno di “cuinte”, fortunatamente trascritte in un volume pubblicato alcuni anni or sono, “Odor ed cristianum”, fissate così per sempre nella memoria collettiva. La voce calda di nonno Giovanni ha fatto sì che i coraggiosi e intrepidi personaggi delle sue “cuinte”, come ebbe a dire il poeta Remigio Bertolino, “non si perdessero come cenere al vento, ma diventassero patrimonio della cultura monregalese”. Grazie Giuanin.

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