Villanova: a 91 anni si è spento il partigiano Ernesto Biscia

I funerali sabato 4 agosto alle ore 10 nella Parrocchia di S. Lorenzo

Appena un giorno dopo l'addio al presidente ANPI Mauro Pettini, il Monregalese perde un'altra figura importante della lotta antifascista: si è spento a 91 anni il partigiano Ernesto Biscia, di Villanova Mondovì. I funerali saranno celebrati sabato 4 agosto alle ore 10 nella Parrocchia di S. Lorenzo in Villanova. La salma sarà tumulata nel cimitero di S. Lorenzo. Il rosario sarà recitato venerdì alle ore 20,30 nella Parrocchia di S. Lorenzo. Lascia la moglie Lucia, i figli Oreste e Margherita e gli amatissimi nipoti.

Ernesto era uno degli ultimi partigiani combattenti ancora vivi nel Monregalese. Salì in montagna e si unì al gruppo della Valle Ellero. Due dei suoi fratelli, Mario, Romualdo, e la sorella Emma vennero uccisi dei nazi-fascisti.

LA STORIA - Il dramma della famiglia Biscia (da "Tre ragazze e una croce", testo di Ernesto Billò)
Madonna del Pasco, una frazione di Villanova. La  numerosa famiglia Biscia era composta dalla madre anziana e da dodici fratelli ancor giovani. Orfani dal 1936, i Biscia tiravano avanti in condizioni particolarmente dure. Mario era partito per la campagna di Grecia, dove morì. Romualdo, poco più che ventenne, dopo l’8 settembre ‘43 era tornato a piedi dal Brennero ed era subito salito a Prea con la brigata Val Ellero di Gigi Scimé. Durante
una sua breve scappata a casa arrivarono - per sorprenderlo - i “Neri” di Canessa avvertiti da chissà chi. Non trovandolo, costrinsero il fratello Ernesto a seguirli a Roccaforte e sequstrarono per giunta un sacco di grano e un carro con cavallo. Ernesto non era ancora diciottenne e dovette essere rilasciato; ma appena fu libero salì pure in Val Ellero dove si unì ai partigiani assieme al fratello Romualdo, condividendo la loro vita dura e rischiosa, tra colla Bauzano e stalla del Seirasso, dormendo sulla neve, tra “combattimenti, attacchi, fughe disperate e lunghe camminate per trovare un rifugio”. Il 19 febbraio i “Neri” tornarono a Madonna del Pasco e non credettero alla madre che giurava che i suoi " gli maschi erano in parte alla guerra in parte a servizio presso cascine. La spinsero di lato, spalancarono la porta... e scorsero Romualdo che non aveva fatto in tempo a nascondersi. Romualdo inciampò o lo spinsero giù dalla scala del cortile. Si rialzò di scatto e si lanciò verso la strada. Una prima scarica lo colpì alle spalle, ma continuò a correre disegnando sulla neve una scia di sangue. I republichini spinsero allora gli altri della famiglia in cucina, chiusero la porta e appiccarono il fuoco alla casa impedendo ai vicini di portare soccorso. La famiglia si salvò scappando da una porta laterale, il corpo di Romualdo fu portato al cimitero su un veicolo per il letame. La mattina dopo tornarono con carri colmi di cose razziate in altre cascine e obbligarono i Biscia a seguirli, come raccontò poi Teresa, una delle sorelle. Passando per le vie di Villanova, scorsero in piazza san Lorenzo altri carri e altri civili rastrellati: mogli di partigiani. Mamma Biscia e le figlie Emma e Cesarina furono rilasciate con altri villanovesi per intervento del Commissario Prefettizio Forzani. Teresa Biscia fu trattenuta per giorni e costretta a volte a risalire per dare una mano alle cuoche del “Leon d’Oro” nel preparare pranzo e cena ai repubblichini. Una mattina riuscì a scappare. Dopo mezz’ora udì degli spari: la sua fuga era stata scoperta. Si acquattò in una buca, e solo col primo buio riprese a salire verso il monte Calvario. A notte fatta raggiunse le case della minuscola borgata “Caporale”. Lassù la coprirono, la rifocillarono e l’accompagnarono a Villavecchia nel convento delle buone coraggiose suore Missionarie della Passione. Intanto quelli di Canessa avevano fermato di nuovo sua sorella Emma sul tram di Villanova mentre portava un fagotto di roba cucita all’Abitificio Rossi di Mondovì, e l’avevano chiusa nella cantina di casa Martini a Roccaforte con altre due giovani. Tutte e tre furono sottoposte per giorni a sevizie e torture, come attestò il parroco don Mario Pezza. I partigiani tentarono di liberarle, ma il loro attacco indusse i nazifascisti a vendicarsi con violenze ed eccidi. Su due autocarri mossero verso il Mulino uccidendo tre civili; a Lurisia incendiarono cinque case; poi a sera partirono da Roccaforte alla volta di Cuneo portando con sé le tre ragazze prigioniere, sordi alle loro suppliche e alle preghiere della gente. Passarono da Mondovì, ritenendola più sicura della salita del Morté; e giunti nei pressi di Crava sfogarono barbaramente il loro livore su quelle innocenti. Le seviziarono e trucidarono abbandonandole nel campo. Furono trovate il mattino seguente.

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