«In questa sera si fondono sentimenti di gioia e di tristezza. Ce lo ricorda il luogo in cui ci troviamo, ce lo ha detto il Vangelo – ha spiegato nell’omelia il vescovo, celebrando l’Eucaristia nella cappella dell’Ospedale di Mondovì nel tardo pomeriggio del Giovedì santo, celebrazione videotrasmessa nei reparti e visibile su pagina Fb della Parrocchia del Sacro Cuore nonché su sito e Fb dell’Unione Monregalese, anche riascoltabile –: gioia per la celebrazione pasquale che Gesù vive con i suoi discepoli; tristezza e commozione (di Gesù e dei discepoli) nel percepire che quella è la loro ultima cena insieme. Seguirà una notte drammatica, di passione, cioè di patimenti, di sofferenze fisiche e morali: prima nell’orto degli ulivi con la preghiera angosciata di Gesù e il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro; poi l’andare e venire nei palazzi del potere (prima da Anna, suocero del sommo sacerdote/ poi dal sommo sacerdote/ poi al mattino da Pilato ), con Gesù interrogato, umiliato, percosso, fino al mattino, quando sarà definitivamente condannato. Tutti questi avvenimenti fanno il Giovedì santo, e attraverso questi fatti si realizza la nostra redenzione». «Questa celebrazione – ha aggiunto – intende principalmente farci rivivere l'istituzione dell'Eucarestia da parte di Gesù e consegnata come comando ai discepoli, perché la celebrassero in sua memoria». E dopo aver commentato le letture dall’Esodo e dalla Lettera di Paolo ai Corinti, si è soffermato sul testo del Vangelo di Giovanni in cui si racconta di “Gesù che si china a lavare i pedi invitando i discepoli a fare altrettanto fra loro. Gesù parla ai discepoli ed a tutti. Dunque questo è certamente un invito, soprattutto a noi preti, a stare nella comunità con atteggiamento di servizio, umile, a volte (proprio come fa trasparire la lavanda dei piedi) ma mai inutile o banale se fatto nel nome di Cristo e con amore. Ma Gesù esorta anche tutta la Chiesa, anche tutta la comunità dei cristiani. Ognuno di noi dovrebbe applicare innanzitutto alla sua vita concreta e chiedersi: cosa significa, oggi, qui, per me, nella mia situazione, accogliere l’invito di Gesù a lavare i piedi?”.
«Stasera, qui, noi non ripeteremo il gesto della lavanda dei piedi, tipico di questa liturgia. Ce lo impedisce la situazione di epidemia. Ma, se permettete, non ce n'è neppure bisogno – ha ricordato il vescovo –. Qui, nell'ospedale, il servizio al corpo; il chinarsi al servizio del corpo, non è un gesto straordinario: è ordinarietà, è una liturgia quotidiana che si volge in tutti i reparti. Qui, dove da settimane si vive più che altrove l'emergenza, in questo luogo che, come tanti altri ospedali, è certamente luogo simbolo della carità, e della dedizione di tanti medici e infermieri, Cristo si inginocchia a ogni ora del giorno e ci ricorda la bellezza del servizio dell’uomo all’altro uomo. In queste settimane ci avete dato l'esempio, avete tradotto per noi, concretamente, cosa significa "lavarsi i piedi gli uni gli altri". Ve ne sono certamente grati gli ammalati, ma ve ne siamo grati anche tutti noi, indistintamente, per l'insegnamento e l'esempio che ci avete dato. Se il Gesù del Giovedì Santo è dove si compie la carità umile e nobilissima della cura del corpo, nessun luogo ne può vantare con certezza la presenza più di un ospedale».
«Ma credo debba prospettarsi anche una risposta collettiva – ha concluso mons. Egidio Miragoli –. Oggi più che mai la comunità cristiana ha il compito di essere sale, di essere lievito, di essere luce; oggi più che mai alla società noi cristiani dobbiamo dare speranza. E per un simile servizio occorre che siamo uniti. Intendo dire che esiste un certo modo di "lavare i piedi" entro la società che può attuarsi solo se i cristiani si fanno comunità. Cioè se si organizzano, se si strutturano, se accettano la fatica di incontrarsi e collaborare».
Una prehiera
Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione,
prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede
cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio,
per non distinguere i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo,
dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida,
di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai,
in silenzio finchè tutti abbiano capito
nel mio, il tuo amore.