Con “Quid+” a Mondovì si collauda il primo triciclo digitale: si chiama “Flurry”, unisce cyclette, videogame e pedagogia
Il bimbo pedala, e il gioco sul display va avanti. Tecnologia da sala giochi, ma con un’applicazione pedagogica. Perché qui non si tratta di correre in mezzo a tunnel di mostri – non è ancora quel tipo di avventure –, ma giocare con concetti diversi: bagnare i fiori, abbinare i numeri, conoscere il mondo delle piante. Senza joystick ma con due pedali. Un “giocattolo”, se così si può chiamare, molto diverso dai soliti: si chiama “Flurry” ed è stato collaudato per la prima volta a Mondovì, a Piazza, negli uffici di “Quid+”. I collaudatori, ovviamente, erano bambine e bambini: dai 3 ai 6 anni.
“Flurry” è un triciclo, fissato a terra di fronte allo schermo di un tablet, in cui la pedalata, lo sterzo ed il campanello si trasformano nei comandi che servono per interagire nel videogioco. È stato pensato non solo come videogame domestico, giocattolone ad alta tecnologia, ma anche come strumento di riabilitazione, per esempio, negli ospedali pediatrici. Oppure come gioco di movimenti in spazi chiusi, magari nelle Scuole materne senza cortile.
Con “Quid+” a Mondovì si collauda il primo triciclo digitale
Il progetto nasce a scavalco fra Mondovì e il Veneto, in partnership tra la trevisana “Italtrike” (colosso italiano di biciclette per bimbi, tricicli e pattini che esporta in tutto il mondo) e il marchio “Quid+” della monregalese Barbara Franco, che fino a oggi si è occupata di prodotti educativi per l’editoria. Come si passa dal gioco… al videogioco? «Il nostro ruolo nel progetto è quello di “editor” dei contenuti digitali – ci spiega la Franco –. Il progetto “Flurry” è un progetto all’avanguardia che porta per la prima volta nel mondo del giocattolo la possibilità di utilizzare un vero e proprio triciclo in uno spazio chiuso. L’obiettivo è quello di proporre un gioco educativo ed interattivo digitale volto a stimolare il movimento fisico e il coordinamento motorio». Non dunque un’alternativa alla bicicletta vera (nessuno mette in dubbio che pedalare all’aria aperta sia meglio), ma un supporto per le situazioni in cui non è possibile farlo. «E il lockdown– prosegue la dottoressa Franco – ha dimostrato a tutti quanto sia importante riuscire a fare attività fisica anche in spazi chiusi».
Al collaudo, a Mondovì, tanti gruppi di “piccoli ciclisti” assistiti dalla neuro-psicomotricista Laura Carai, parte del team di “Quid+” che ha aiutato a sviluppare sia i contenuti pedagogici che l’interazione. Il resto, si scopre… una pedalata dopo l’altra.
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