Cristiano Bellino ordinato presbitero: «Al sì di questa sera dovrà seguire il sì di ogni giorno»

L’indicazione del vescovo: «Nella gioia e nella fatica». Cristiano ha 27 anni. Proviene da Bene Vagienna. Da diacono è stato impegnato a Millesimo

Don Cristiano Bellino

Sabato 16 settembre in Cattedrale a Mondovì Piazza, Cristiano (Tano) Bellino, diacono da maggio 2022, è stato ordinato presbitero per l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione, da parte del vescovo mons. Egidio Miragoli. Cristiano Bellino proviene dalla parrocchia di Bene Vagienna e ha 27 anni. Dopo gli studi scientifici a Fossano, nel Liceo “Ancina”, ha frequentato l’anno propedeutico a Torino nel 2016 ed ha terminato il sesto anno dei corsi di teologia allo STI di Fossano (appartenendo al Seminario interdiocesano). In questi mesi da diacono, ha svolto servizio pastorale nella parrocchia di Millesimo in Val Bormida ligure, soprattutto dedicandosi all’animazione dei ragazzi anche a livello di Unità pastorale.

La prima messa a Bene Vagienna

Intanto la sua parrocchia di origine, Bene Vagienna, lo ha accolto domenica 17 settembre, per la sua prima Messa all’interno di una giornata di festa e di amicizia per lui neo-presbitero, cresciuto nella stessa comunità benese.

Una liturgia festosa: l'omelia del vescovo

«È sempre una sera di festa la sera in cui la Chiesa di Dio ordina un nuovo presbitero. È festa per l’interessato e per chi gli vuol bene; è festa per il vescovo e per il presbiterio, che accolgono un nuovo collaboratore; è festa per il popolo di Dio, che di sacerdoti ha sempre bisogno – ha detto mons. Egidio Miragoli nell’omelia alla celebrazione per l’ordinazione presbiterale di don Cristiano Bellino sabato sera in un duomo gremito a Piazza –. Mi verrebbe da dire “ha sempre più bisogno”, perché le necessità sono tante e la prima urgenza è proprio tenere vivo il senso di Dio, nella società e nella comunità dei credenti, la cui perdita è tra le prime cause della scarsità di vocazioni. Abbiamo dimenticato Dio, travolti dal culto di noi stessi, dal consumismo, dall’edonismo, dalla frastornante e oberante massa di informazioni e suggestioni che la tecnologia ci rovescia addosso, imponendoci di non pensare, di non fermarci a riflettere. Siamo lontani anche dalla sua Parola: i dati della frequenza alla messa, nel dopo Covid, sono chiarissimi; e non so quanti recuperino altrove ciò che hanno perso in chiesa. Se poi penso al presbiterio, a noi preti e vescovi, mi chiedo quale testimonianza stiamo dando ai giovani, alla gente, con la nostra fede, con il nostro lavoro, la nostra vita. Davvero abbiamo creduto e risposto all’amore di Dio? Davvero abbiamo scelto di dare la vita per il Vangelo, per la salvezza dei fratelli e delle sorelle? Oppure: che ne abbiamo fatto dell’entusiasmo iniziale e delle promesse dell’ordinazione, ripetute ben due volte, nel diaconato e nel presbiterato? Sto vivendo, sia pure con la ovvia fatica, nella fedeltà alla chiamata e con passione la missione ricevuta? Sono alcuni degli elementi che spiegano la scarsità delle vocazioni: sembra che la scelta di una vita dedicata al Vangelo e ai fratelli sia fuori dal tempo, dai dettami della nostra società, che teorizza semplicemente il “ben-essere”. Sono l’orizzonte entro il quale, caro don Cristiano, spenderai la tua vita.  Anche per questo, tanto più grande e profonda deve essere la speranza dei cristiani di fronte all’ordinazione sacerdotale, di un giovane: evento che sovverte una tendenza e che segna il compiersi di una scelta e di un cammino ormai così rari».

Solo un inizio

«Al tempo stesso, però, dobbiamo ricordare anche un’altra verità: questa sera rappresenta per don Cristiano anche un punto di partenza. È inutile negarselo. Questa sera inizia, infatti, il suo ministero sacerdotale, agirà “in persona Christi capitis”, in rappresentanza del Signore – ha proseguito il vescovo –. E alla risposta di questa sera, al sì di questa sera, dovrà seguire il sì di ogni giorno: il sì della perseveranza, della coerenza, della fedeltà quotidiana a un'intuizione splendida, ma che va continuamente confermata e sorretta, perché resti viva. Se tu don Cristiano pensassi, o qualcuno pensasse che il più è fatto, per il sacerdote novello; che a contare è questa celebrazione, commetterebbe lo stesso errore di chi confonde la cerimonia nuziale e la sua allegria con il seguito della vita matrimoniale, che possiede le sue bellezze, certo, ma che richiede anche l'impegno e la fatica di ogni giorno. Perciò, mi piace dire a don Cristiano: goditi questo momento e questa festa, siine felice, ma poi fanne memoria ogni mattina nella preghiera, ogni giorno nell’Eucarestia e nella carità e ogni sera, parlando con il Dio che hai scelto di seguire e servire. E ancora: abbi l’umiltà e l’onestà di verificarne la coerenza e la fedeltà quotidiana, perché la fatica, l’incomprensione, “la croce” che anche questa vocazione comporta, non abbiano a tarpare le ali, favorendo più o meno consapevolmente la ricerca di scorciatoie, vie di fuga, accomodamenti, che non sono altro che un modo elegante di tradire la fiducia che il Signore ha riposto in noi, di riprenderci quanto abbiamo promesso. In tutto questo il riferimento primo sarà la tua coscienza, ovviamente, ma senza dimenticare che la tua vocazione ha il suo senso pieno dentro un orizzonte ecclesiale che ha nel vescovo e nelle necessità della Chiesa locale i cardini imprescindibili di riferimento e di discernimento».

Uomo perdonato, uomo del perdono

«Il Vangelo che abbiamo ascoltato mi suggerisce una seconda riflessione. La pagina di Matteo (Mt 18, 21-35) evidenzia un aspetto importante della missione del presbitero: ci dice che il prete è l’uomo del perdono – ha aggiunto ancora –. Quante volte dovrà perdonare al suo fratello? Fino a sette? No. Fino a settanta volte sette. Nella parabola il padrone che elargisce il grande perdono è chiaramente Dio. Il prete è colui che ne beneficia e che a sua volta riceve il mandato di donarlo agli altri uomini, quando li ascolta, li comprende e li assolve. Ma certamente il prete è anche il servo della parabola che deve saper perdonare il piccolo debito a un altro servo. Cioè, fuori di similitudine, il prete dovrà saper perdonare i piccoli o grandi torti e le piccole o grandi incomprensioni che fatalmente patirà nella sua azione pastorale. Perché i confratelli hanno i loro limiti, perché avere a che fare con le persone non è sempre semplice, e persino rapportarsi con il vescovo può comportare delle difficoltà. Perché la vita stessa invoca continuamente perdono. Non a caso (Promessi sposi, cap. XXXVI) l’ultima raccomandazione di fra Cristoforo a Renzo, quando si trovano al lazzaretto e il frate sta per morire, è di insegnare ai suoi figli che dovranno perdonare "tutto, tutto” (...I vostri figliuoli “Verranno in un tristo mondo, e in tristi tempi, in mezzo a' superbi e a' provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! tutto, tutto! e che preghino”). Ecco, don Cristiano: non scordare mai che il perdono è il cuore della vita cristiana, che, come Dio ti perdona e ti affida il suo perdono da amministrare agli uomini, così anche tu in prima persona ogni giorno dovrai perdonare a molti, sperando che molti perdonino a te, perché in questo consiste la prova più alta e più vera dell'amore che Cristo ci ha chiesto di esercitare reciprocamente».

Uomo di Dio

«Ancora: dovrai amare, don Cristiano. Dovrai amare la Parola di Dio, la sua Chiesa, questa Chiesa e le sue necessità, i tuoi superiori, i tuoi confratelli, la tua gente, quella che il tuo ministero ti farà incontrare: dovrai avere tante attenzioni e compiere tanti gesti, guidare i giovani, visitare i malati, amministrare i sacramenti, con tutta probabilità celebrare pochi battesimi, non molti matrimoni e tanti funerali – la conclusione del vescovo –. Dovrai essere uomo di Dio dentro la tua comunità, e il modo migliore e più efficace sarà appunto amando, fino a sentirne la fatica e insieme la gioia immensa e inesplicabile, quella che ti darà il centuplo quaggiù».

Presbitero, uomo vero!

«Essere uomo di Dio, tuttavia, necessita anche e soprattutto di essere uomo vero. Per essere uomo di Dio, dovrai essere uomo autentico, adulto, pienamente uomo, come dice un bel testo di don Primo Mazzolari che mi piace lasciarti quale auspicio, o viatico per il viaggio che proprio questa sera intraprendi:
“Si cerca per la Chiesa un prete capace di rinascere nello Spirito ogni giorno.
Si cerca per la Chiesa un uomo senza paura del domani senza paura dell'oggi senza complessi del passato.
Si cerca per la Chiesa un uomo che non abbia paura di cambiare, che non cambi per cambiare, che non parli per parlare.
Si cerca per la Chiesa un uomo capace di vivere insieme agli altri, di lavorare insieme, di piangere insieme, di ridere insieme, di amare insieme, di sognare insieme.
Si cerca per la Chiesa un uomo capace di perdere senza sentirsi distrutto, di mettere in dubbio senza perdere la fede, di portare la pace dove c'è inquietudine e inquietudine dove c'è pace.
Si cerca per la Chiesa un uomo che sappia usare le mani per benedire e indicare la strada da seguire.
Si cerca per la Chiesa un uomo senza molti mezzi, ma con molto da fare, un uomo che nelle crisi non cerchi altro lavoro, ma come meglio lavorare.
Si cerca per la Chiesa un uomo che trovi la sua libertà nel vivere e nel servire e non nel fare quello che vuole.
Si cerca per la Chiesa un uomo che abbia nostalgia di Dio, che abbia nostalgia della Chiesa, nostalgia della gente, nostalgia della povertà di Gesù, nostalgia dell'obbedienza di Gesù.
Si cerca per la Chiesa un uomo che non confonda la preghiera con le parole dette d'abitudine, la spiritualità col sentimentalismo, la chiamata con l'interesse, il servizio con la sistemazione.
Si cerca per la Chiesa un uomo capace di morire per lei, ma ancora più capace di vivere per la Chiesa; un uomo capace di diventare ministro di Cristo, profeta di Dio, un uomo che parli con la sua vita. Si cerca per la Chiesa un uomo”. Ecco, don Cristiano, non so quali migliori parole potrei lasciare a un giovane che si appresta a diventare prete: prendi quelle che senti più tue, e tienile come riferimento nei giorni e negli anni. Da questa sera, per sempre».

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